ANDORESI MARINAI AGRICOLTORI - Andora nel tempo

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ANDORESI MARINAI AGRICOLTORI

STORIA E DOCUMENTI > CURIOSITA' STORICHE
ANDORESI: MARINAI, NAVIGANTI E AGRICOLTORI

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NAVIGANTI E MARINAI
(Adriano GHIGLIONE)


Veliero ex-voto di marinai andoresi, esposto nella Chiesa della Santissima Trinità di Rollo

Ubicata dietro l'abside della chiesa, è l'unica piazza di Rollo dalla quale si ammira per intero il golfo che si estende dalla regione Pigna alla regione Marina e il suo porto.
Con questa visione, forse, i nativi di Rollo si appassionavano al mare che in quei tempi non era ancora considerato luogo di piacere e vacanza, tra l'altro non facile da raggiungere, perché per scendere in pianura c'era una sola mulattiera generalmente percorsa a piedi, salvo il caso di trasportare materiale pesante per cui si usava l'unico animale da soma, che godeva di un certo rispetto, ed era mula, (a mu^a).
Rollo aveva una economia basata esclusivamente sulla piantagione di ulivo e di conseguenza la produzione di olio grazie alla esistenza di un frantoio in loco.
La famiglia Tagliaferro era la maggiore a tenere questo commercio, le altre famiglie ovviamente godevano di meno benefici per cui la necessità di trovare lavori altrove e nasce quindi la figura del marinaio o navigante (mainò o navigànte).

Il marinaio proveniva esclusivamente da Rollo, la maggior parte delle famiglie ne contava almeno uno.
Si ricordano tra questi; i Ghiglione, i Perato, i Vatterone, i Da Broi, i Battistin .............
Iniziando all'età di 13 anni, si imbarcava a Genova sulle navi a vela, i brigantini a palo, e circumnavigava per tutti i mari, non escluso il fatidico Capo Horn.
A bordo vi erano ben pochi strumenti per la navigazione come bussola, sestante, barometro, e quindi molto era dovuto alle capacità del capitano, che era l'unico a bordo a conoscere perfettamente la rotta da tenere, e dell'equipaggio in perfetto grado di manovrare le vele e la barra del timone.
I viaggi non finivano mai, si partiva ma non si sapeva quando si tornava, e poiché non c'era alcun mezzo di comunicazione, il primo che tornava indietro portava i saluti alla famiglia dell'altro.
La vita di bordo era dura e pericolosa, finito il turno di guardia trascorso in massacrante lavoro, si buttava a dormire tanto stanco da non togliersi i vestiti bagnati fradici per venire magari, poco dopo, richiamato in coperta per improvvise, emergenze perdendo ore di sonno; c'era il rischio dello scorbuto se veniva mangiata solo carne salata e galletta infestata da parassiti ; rischiava la vita quando doveva manovrare le vele gonfie di tempesta, salendo sugli alberi oscillanti e fermo sui pennoni scivolosi, per salvare il veliero e quindi la vita di tutti gli altri a bordo.
Passava mesi e mesi lontano da terra con intorno solo sconfinate distese di cielo e di mare troppo spesso imbronciate quando non burrascose.
Era il marinaio di una volta, appartenente ad una razza scontrosa e fedele, vigorosa e fiera, capace di ogni rinuncia e dedizione, con i suoi riti, i suoi usi, il suo coraggio.
Il mare lo conosceva davvero perché viveva e operava a contatto diretto con esso, con i suoi capricci, le sue violenze, le sue bufere con ondate montagnose e dirompenti che salivano in coperta; oppure nelle calme piatte equatoriali senza un filo di vento.
A bordo non vi era alcun presidio sanitario e quindi senza possibilità di cure in caso di malattia, che in certe zone poteva essere la febbre gialla o il beri-beri, dovendo fare i conti con topi, scarafaggi, cimici e perfino con le zanzare.
Grande la fatica fisica, la sofferenza, grandi i pericoli di navigazione condotta in alto mare con rara abilità sulla sola base di calcoli astronomici o stimati, senza possibilità di verifiche offerte sai punti salienti di terra, col solo aiuto del sestante, del prezioso cronometro, di una bussola di dubbia compensazione, del barometro e nulla più.
Un mestiere sorretto da esperienze incredibili, da intuizioni e colpi di fortuna, difficile da capire e riconoscere a questi uomini dai percorsi oceanici più lunghi e sperduti dall'Europa all’Australia, all’Oceania e alle coste occidentali delle Americhe, con l’obbligato passaggio del leggendario Capo Horn, o scapolando il Capo di Buona Speranza o i capi della Nuova Zelanda.
Le distese oceaniche erano segnate da regimi di venti regolari permanenti o stagionali, però sconvolti spesso da tempeste e uragani di grande violenza, con mare insidiato inoltre dai ghiacci vaganti.
Un punto cruciale era rappresentato dal passaggio del leggendario Capo Horn, sconvolto da tempeste quasi in continuità per cui quella zona di mare segnava il naufragio di molte navi sfortunate tra quelle che erano obbligate a doppiarlo per passare dall'Atlantico al Pacifico, con equipaggi stremati e bagnati per giorni e giorni dall'acqua gelida che rompeva da tutte le parti.
La vita a bordo seguiva rigorose regole integrate da tradizioni osservate con rigore secondo una gerarchia al vertice della quale stava il capitano la cui autorità era indiscutibile.
L'equipaggio era formato dal nostromo, figura centrica, dal cuoco, dal carpentiere e dal velaio (tutti col grado di sottufficiale, con cabina propria e esenti dai turni di guardia) e infine dai marinai: mozzi giovanissimi, pilotini, nocchieri e gabbieri, tutti affiatati per il governo della nave anche nei momenti di pericolosa navigazione nel mare in tempesta.
Toccando tutte le parti del mondo portavano a casa nuove esperienze, nuove culture, nuovi costumi, nuovi cibi come il “musciame”, condimento costituito da filetto di delfino che veniva appeso ad essiccare, periodicamente irrorato con acqua di mare strofinato con sale.
A Rollo si usava per dare gusto all'insalata di pomodori (u cundiùn).
Prova della loro vita in mare i modellini di navi a vela, appesi al muro, che si possono vedere nella chiesa di Rollo.
Con la comparsa delle prime navi a vapore (i vapùri) questa figura piano piano si esaurisce, sostituita da personale più adatto e preparato alle nuove tecnologie.
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ANDORESI MARINAI AGRICOLTORI
(Antonello DEGOLA)

Andora è stata da sempre fondamentalmente contadina e marinara.
Nel cuore e nella testa degli antichi Andoresi albergarono fortemente due realtà: la terra e il mare.
La terra e il mare non erano per essi solo fonti di sostentamento ma mete ideali di vita per uomini semplici, duri, temerari, quasi dei semidei!
Cosi descrive i marinai del Ponente ligure il Gio Bono Ferrari, grande conoscitore di navi e di uomini: “Sferzati dai venti, flagellati dalle bufere, arsi dal sole o cotti dai geli, questi uomini, semplici e duri, varcarono gli oceani portando nei più lontani continenti, fra le genti più remote, nei più aspri lidi, con ardua, tenace, silenziosa fatica le sacre insegne della Patria”.
Molti Andoresi si imbarcavano in gioventù sui grandi e piccoli velieri, viaggiando per i mari di tutto il mondo, ma quando sbarcavano e si accasavano diventavano alcuni, pochi, pescatori, e la maggior parte di essi contadini o “terraioli” come li definisce il capitano e scrittore Flavio Serafini nei suoi libri sulla marineria del Ponente ligure.
Questi ex marinai, ora contadini, si dedicavano alla cura dei campi e soprattutto alla olivicoltura.
Allora non vi erano malattie negli uliveti e i raccolti erano abbondanti, l’olio di Andora era rinomato e si vendeva bene: il migliore a 0,85 lire al litro.
Alla marina di Andora sulla destra del Merula, approdavano spesso dei “laut” di Sanremo e dei “layatti” francesi che ne acquistavano dei carichi interi.
Un capitano, nativo di Andora, fu Giulio Giacinto, che navigò tutta la vita sui velieri, trasportando merci e passeggeri in tutto il mondo.
Altro capitano andorese fu Agostino Pagliano, un comandante di ferro, che viaggiò soprattutto nel Pacifico.
Durante uno di quegli interminabili viaggi, due marinai di San Giovanni disertarono al Callao.
Dopo molti anni si seppe in paese che essi erano andati a lavorare nelle miniere d’argento dell’alto Perù e che avevano fatto fortuna.
Non ritornarono mai più in patria e non se ne seppe più nulla.
E non ritornò mai più anche un marinaio di Rollo, il cannoniere Giuseppe Garassino della RN “Ettore Fieramosca” che, trovandosi di stanza ad Assab, si offrì volontario per la spedizione del capitano Giulietti di Casteggio, completamente massacrata dai nativi in Dancalia nel maggio del 1881.
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