CENNI STORICI DI MARCO MAGLIONI - Andora nel tempo

Andora nel tempo
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CENNI STORICI DI MARCO MAGLIONI

"CENNI STORICI SULLA VALLATA E SUL CASTELLO DI ANDORA" - MARCO MAGLIONI
(Trascrizione di Mario Vassallo)
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Egregio Signor PREVE Dottor CESARE
LAIGUEGLIA.
A Voi, inclito per sapere, per virtù modesto a tale che tentate offuscare il pregio dei forti studi esaltando con garbo gli amici, dedico questo breve lavoro: e la dedica è restituzione, è l’applicazione del proverbio che si fregia due volte del Vostro nome.
Dopo avermi in fatti accordato di far ricerche nella Vostra Biblioteca, la quale attesta quanto fruttuosamente impiegate il largo censo, voleste fornirmi dati storici con pazienti cure e forte acume raccolti.
Ricade su Voi quindi, e ben lo meritate, l’encomio dal quale con modestia, in tempi di bivacco letterario insolita, procurate sottrarvi.
Il tempo fuggevole non permise che io commentassi o solo coordinassi i fatti, i dati statistici né avrei, facendolo, ottenuta una continuità storica dimostrativa, efficace: ciò per mancanza di altre memorie e documenti che mi fa deplorare l’apatia dei miei concittadini, il disordine dell’Archivio Municipale.
Consentitemi venia: l’operaio saluta coll’allodola il giorno, lieto quasi d’averlo a spendere; lavora e canta: io lavoro e nessun canto allieta la mia giornata; attendo conforti solo dalla benevolenza di persone che vi assomigliano.
E non allarmatevi di questa chiamata alla tribuna: avrei, non obbedendo ad un retto pensiere, meritato a mio scorno la applicazione della favola della Gazza che si adorna colle piume del Pavone e perduto il diritto, che spero mi venga dalla cortesia Vostra largito, di dirvi parodiando l’orgogliosa divisa dei Rohan: Gazza sdegno, Pavone non posso; sono Vostro estimatore ed amico.
Andora 3 giugno 1895.
 
Obb.mo
MARCO MAGLIONI.
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Quel ramo delle Alpi che, spiccatosi dal Varo, piega con alta non interrotta giogaia ad Oriente radendo la sponda del mare sino alla Magra ed all’Arno, presenta due aspetti ben dissimili. L’uno ridente ed aprico si specchia nel Mediterraneo, ora vagamente adornandosi di fiori o di frutta, ora, con asprezza di erti colli creando ammirato contrasto. L’altro guarda il Piemonte, le Langhe, abbondanti esse pure di più agresti prodotti;
in questo, perchè volto a settentrione, più rigido si mostra il verno e più tarda la vegetazione: questi due grandi clivi sono sparsi di numerose abitazioni, ma in ispecie quelle di mezzogiorno che tutto faceva parte dell’antico dominio di Genova.
Il territorio dello Langhe e caratterizzato da profonde, strette valli, argini naturali che da Sud a Nord guidano al Po le acque del Tanaro, delle Bormide, dell’Olba, della Scrivia ecc. Il nostro invece mostra più frequenti ed assai più brevi le valli che volgono tutte quasi da Nord a Sud e gettano nel Mediterraneo le loro acque per mezzo di molteplici ed impetuosi torrenti.
In queste valli, sui degradanti poggi che le fiancheggiano e sull'estremo lido del mare sorgono quasi per incanto contigue ville, borghi e Città onde da qualunque altura riguardar si voglia l'occhio non può correre lunge un mezzo miglio senza riposarsi sulle antiche torri, sui doviziosi palagi e sopra innumerevoli rustici casolari.
Nel centro della Riviera nostra poi due maggiori vallee, quelle di Albenga e di Oneglia staccansi dalle Alpi di Ormea e del Frontero e pel tratto di dieci a venti miglia irrigate dai principali torrenti Centa ed Impero che moltissimi tributarii alimentano corrono al mare - Nel punto dove il Centa e l’Impero si separano, presso cioè il colle San Bartolomeo e propriamente dove accentuasi il declivio verso mozzodì di quei monti, si dipartono tre minori vallate , quelle di Diano - Cervo Faraldi – Andora. (1)
Quest’ultima la più vicina ad Albenga, ha maggior lunghezza e racchiude ben dodici Parrocchie che sorgono pittorescamente raggruppate a differente elevazione sui fianchi delle colline. Nel centro inferiore della vallata, due Chilometri in distanza dal mare, alla sinistra del torrente principale Merula che vuolsi abbia dato il nome a Capo Mele, su di un ripido poggio, ottanta metri circa elevato è sito il Castello che solo portava il nome di Andora (2): le cinque Parrocchie di Andora, le tre inferiori di Stellanello senza fallo, e forse le altre tutte, furone staccate dall’antica Parrocchia dei S.S. Giacomo e Filippo di Castello: si desume ciò dal fatto che la Chiesa fino dai tempi di Costantino nel dividere il territorio delle Diocesi, seguiva la divisione secolare onde la Giurisdizione Eclesiastica a quelle niformavasi.
Andora fu assoggettate ai Marchesi Del Vasto e di Monferrato nel 991 in cui il Marchese Teti condusse in isposa Elena di Ventimiglia.
Nel Medio Evo la famiglia Carretto, discesa da quei di Susa, possedeva dapprima Andora, Stellanello e buona parte della Riviera: se non che nell’avvenuto frazionamento feudale, Andora passò in seguito ai Clavesana, ramo della famiglia Carretto e da questi fu venduta ai Genovesi il 7 giugno 1252 (3). Stellanello invece rimasto ai Carretto del Finale, passò più tardi da questi ai Doria e quindi ai Re di Sardegna.
ll Castello era il luogo principale delle due Comunità e ben ciò appare dalla sua posizione topografica: esso domina tutta la valle e la via che all’epoca della sua potenza correva, arteria principale, attraverso il sobborgo. - Il torrente Merula che scorre raramente impetuoso, in mezzo a prati e vigneti ed a maestosi olivi, appare dal Castello nelle capricciose curve, passa sotto il i ponte di costruzione Romana, i cui piedritti resistettero per secoli agli impeti poderosi della piena, al lento ed implacabile lavorio del tempo: ma le arcate furono a più riprese ricostruite giacchè appaiono di stile ch’io chiamerò grottesco.
ln quelle vicinanze e sul declivo di un ameno colle è voce fosse combattuta un'aspra tenzone all’epoca Romana. - Il luogo vien detto oggi ancora Preli da proelium e non a molto vi si rinvennero ossa in quantità.
Era forse una delle eroiche legioni sorprese da quei Liguri invitti dei quali Diodoro Siculo scrisse che le donne erano uomini, gli uomini leoni.
La via Romana che attraversava in quel punto la valle, è convertita in alpestre sentiero che conserva oggi ancora il nome di via vecchia.
Doveva tale strada essere un tempo frequentatissima e lo prova uno specie di ridotto, munito di forti mura che scorgesi sul valico di San Damiano; lo prova non meno una tavola votiva, che vuolsi asportata dai Francesi nel 1802, sulla quale apparisce l’iscrizione: - A GIOVE STATORE.
E che si fosse provveduto allo sbarramento della via dai conquistatori lo attesta una bastide costrutta con pietre da taglio, coperta di un vallo maestoso, tutt’ora al di là del fiume esistente:
Sulle rovine del ridotto e su quelle della bastide in omaggio al motto << Christus imperat >> furono erette la Capella di San Damiano (4) e la Chiesa Parrocchiale di San Giovanni.
 
Il Castello contava dugento e più case di cui solo una diecina oggi abitate; le altre tutte qual più, qual meno furono demolite e di certune appaiono le sole fondamenta. – Quasi altrettante ne presenta il sobborgo dalla parte di settentrione, così che può dirsi aver esso un tempo contati due mila circa abitanti, come ne corre fama. Sul colmo del poggio sorge il Castello Feudale, il Palagio, oggi per corruzione Parasco, con ampio cortile e Cappella attigua (5).
Benché scoperto ne restano ancora ritti e quasi interi i muri maestri che dimostrano un edificio dei più vasti per quei tempi e per quei feudatari potendo contenere circa mille combattenti (6).
- Fu il Castello la residenza dell’Archivio e del Podestà o Giudice, fino alla rivoluzione del 1797 - Ebbe allora, dice il cronista, mezzo miglio di circuito: le antiche poderose mura resistettero in molti punti, in altri furono sostituite con informi macerie che appajono quali inani sforzi ed attestano la decadenza del Paese: sorreggono tali macerie una strada che gira all’intorno del Castello ed offre mezzo di ammirarne le grandiose ruine.
Vi si entra da mezzo giorno e da tramontana, per due arcate ogivali di stile puríssimo: l’ultima quella Nord in ispecie, è ammirevole per architettura e forma la base di un’alta torre interamente di pietre da taglio che serviva di vedetta e di campanile: - l’arcata esteriore è di stile Romano, quella interna di stile gotico: propingua avvi la Chiesa dei S. S. Giacomo e Filippo capace di un migliaio di persone e tutta, del pari << nei suoi muri, che intieri esistono, di pietre quadrate quali veruna degradazione mostrando sembrano imposte ad dì d’oggi >>.
E’ uno dei migliori edifici gotici del Genovesato, trascurato, come è uso, dai nostri, ammirato dai forestieri che traggono numerosi a visitarlo.
La Chiesa e la Torre furono costruite nel XIII secolo e sotto i Marchesi di Clavesano; altri vogliono siano state soltanto a quell’epoca riattate in base ad una iscrizione esistente nell’atrio della torre che dice: Anno 1341 completum fuit istud Campanile; vuolsi da questi tradurre il completum per finito -
I merli della torre infatti e la cimasa sembrano di diversa e più modesta struttura onde vuolsi assegnare alla parte sottostante della Chiesa più remota origine.
E ciò potrebbe argomentarsi dall’aver Giorgio Stella riportato nei suoi Annali come le fortezze di Andora furono distrutte nel 1340: a parer mio Torre e Chiesa furono in quell’epoca soltanto riparate;
Fu sullo scorcio del XIV° secolo che si staccarono man mano,  come dissi, tutte le borgate essa Chiesa Madre e pare che al 1500 non contasse più in sua dizione Eclesiastica che la metà della valle e cioè quella che ora forma le parrocchiali di San Pietro, di Rollo e di Laigueglia; pare altresì che la gran parte dei maggiorenti e della popolazione fosse ridotta ad occidente della fiumara lungo la via opposta, e che abbia in quell’epoca instato per trasportare colà la sede Parrocchiale togliendola dal Castello - Il reclamo diede luogo a piati infiniti e promosse un interdetto a seguito del quale fu spedito appositamente un Nuncío Pontificio onde istabilire il sito della nuova Chiesa: ma il Nuncio, avendo sfavorite le genti del Castello, fu proditoriamente ucciso di pugnale o stocchetto, nel suo ritorno, da un malcapitato della famiglia Gaggino; da questo fatto la fulminata scomunica e lo spopolamento istantaneo di Andora.
Lascio la responsabilità dell’asserto ai scrittori dai quali trassi appunti: giammai rinvenni documenti in appoggio alla lanciata scomunica.
E non tanto la Chiesa ma ben anco la campana forni pretesto agli abitanti per sollevare contese giustificando il motto proverbiale delle gare di campanile che trovò ben altre applicazione in paese.
Questa campana fu ottenuta dalla fusione di vecchie artiglierie tolte dal baluardo che tutt’ora esiste sul lido di Andora, baluardo costruito nel 1500.
Avendo le intemperie danneggiato il tetto della Torre e minacciando ruina i travi che sostenevano la Campana << Sul principio del corrente secolo una truppa d’uomini della Parrocchia di San Giovanni Battista, ardirono in tempo di notte di trasportare detta campana dl detto Campanile dei Santi Apostoli Giacomo e Filippo in quello di detta Parrocchiale di San Gio. Batta. Il rumore che fecero quelli che si accinsero a tal trasporto scoprì il disegno ed avvisati i Sigg. Municipali o sia Agenti Comunali accorsero chi a detta Parrocchia in Alassio a dare avviso del fatto all’Ill.mo Signor Pietro Scoffero Commissario di Governo il quale non tardò recarsi al luogo dove si contendeva e trovò che detta campana era già stata alzata alla principale finestra del Campanile di detta Parrocchiale e subito ordinò che fosse calata a terra: ivi si trovò che la Campana era stata dedicata nella su fondazione ai detti Apostoli e che fu fatta dalla Comune di Andora, come si legge sopra detta Campana – OPUS COMUNITATIS ANDORIAE -, onde per sedare il tumulto popolare eccitatosi per detto trasporto, scoperto il tetto di detto campanile e perciò incapaci essendo i legnami che in parte erano stati levati a sostenere il peso della Campana il prefato Ill.mo Signor Commissario ordinò che fosse posta nella Chiesa di San Gio. Batta ove ancora esiste avendo però con atto pubblico dichiarato i motivi di questa sua ordinanza >>.
Ma breve requie al Campanone, forse per quella tenacità di propositi che trova sfogo nelle rappresaglie, venne accordata, poichè lo troviamo poco dopo ristabilito in cima alla torre ed altro scrittore riferisce che:
Tutte le pubbliche adunanze si convocano prima nel Castello di Andora, o nel suo Borgo, ed ogni volta quando decisi radunare il M.co Parlamento o M.co Consiglio si fanno previamente avvisare per mezzo di pubblici Nunzi della M.ca Comunità li Parlamentari, o Consiglieri di essa per il determinato giorno ed ora, oltre il solito segno del Campanone di detto Castello di Andora.
I ruderi del Castello e del Borgo attiguo sono di profonda e dolorosa meditazione obbietto e chi le visita ne rimane attonito e dolente.
Le case sono di ampiezza tale e di tale solida struttura da indicare l’agiato vivere, per quei tempi, degli abitatori. Eravi pure l’Ospedale con quattro letti in tre stanze per alloggiarvi i poveri infermi e ad ogni passo scorgonsi ampie cisterne che colle aperte bocche, dice il cronista, sembrano gli squallidi sepolcreti che ingoiarono quelle popolazioni.
Dalla cima del Tempio e dal Paraxo si dominano le massicie rovine dove oggi irti cespugli s’innalzano e tristamente le ingombrano - Il pensiero corre alle rumorose officine, ai popolosi mercati: ivi cavalieri e dame, paggi (7), soldati di ventura, ivi, se la tradizione non mente, folla di clienti e persino sei Dottori in Legge: più di quanti, a parte gli Amministratori del Comune, ne abbia contati Andora nel volgere di due secoli.
Monsignor Agostino Giustiniani, Vescovo di Bobbio nel 1° libro dei suoi Annali, pubblicati il 10 agosto 1535; descrivendo la Valle di Andora ed il Castello in particolare dice: - esservi case per ducento fochi ma che per cagione della peste non arrivano gli abitanti a venti fochi -.
E dalla peste appunto che infierì nel Genovesato sul finire del 1400 (e se mal mi appongo nel 1493) ebbe il Castello uccisa gran parte della popolazione: una tradizione, che prova meglio d’ogni altro documento il terrore degli animi, riporta che rimase in Andora una sola famiglia - Contro tale affermazione vuolsi opporre il fatto della costruzione della Chiesa di S. Giovanni avvenuta verso il 1500, data risultante nell’iscrizione che esiste dietro il maggior altare confermata da altra scolpita sul frontone del vicino Oratorio di Santa Caterina. A meno che per Andora vogliasi intendere il Castello.
Dopo ciò è egli ragionevole parlare di scomunica?
Il Giustiniani che scriveva trent’anni dopo, avrebbe senza altro accennato all’interdetto: afferma in quella vece che i duecento fochi furono ridotti a venti a causa della peste che desolò la vallata.
Ma lo spopolamento del Castello e delle adiacenti borgate promosso dalla peste ebbe più tardi per causa determinante la mal’aria.
Nel XII e XIII secolo per Andora, che aveva raggiunto la massima densità di popolazione, sopravenne penuria grandissima per le difficoltà create, al commercio e la carestia decise un eccessivo diboscamento (8) per la coltura fino alla vetta delle colline circostanti.
Successivamente uno spaventoso temporale clesolò la vallata, mutò il corso del Torrente Meira che dalla sinistra portò a destra il proprio letto e lasciò dove prima scorreva, stagni paludosi le cui acque produssero febbri intermitenti.
Fu in allora che la gente del Castello, dei Previ, di Mezz’acqua, della Marina, fuggi: - il fatto è confermato da una memoria rinvenuta nell’Archivio Comunale che narra: << verso il XV – XVI secolo no lasciò di disertare totalmente il Castello ove ogni minino fiato di mare portava miasmi pestilenti e tuttavia li porta, in guisa che meno i pochi abitanti che vi sono assueti del resto chiunque voglia là soggiornare al dì d’oggi un soggetto a febbri intermitenti.
Sorvolando alla curiosa tradizione, (ed il volgo tutt’ora la ripete) che Andora, a seguito dell’interdetto Pontificio sia stata distrutta dalle formiche, è facile constatare come l’abbandono del Castello non sia avvenuto d’un tratto ma bensì a riprese: l’esame delle rovine dimostra aver gli abitanti disertate molte case in età remota, altre in epoca più recente.
Il notevole incremento di Laigueglia poi, che da 600 nel 1635 accrebbe la popolazione ad oltre 3000 abitanti (9) giova meglio d’ogni altro documento a stabilire come attendibili siano le cause dello spopolamento citate poichè la decadenza di Andora coincide, col periodo storico nel quale Laigueglia attrasse, col mirabile impulso dato ai traffici, le popolazioni dei paesi circonvicini.
Laigueglia che fu staccata da Andora nel 1528 in quanto alla giusridizione Parrocchiale, ma che rimase in quanto alla civile con Andora fino al 1791, vuolsi fondata da arditi Condottieri di Naviglio le cui stirpi, i Maglione, i Preve, i Pagliano, i Gaggino ed altre esistono ancora (10).
Per cause che difficil cosa e l’indagare ma che potrebbero trovarsi nelle audaci scorrerie dei pirati parte delle famiglie di Laigueglia tornarono ad Andora ove fondarono le borgate dei Maglioni tutt’ora esistente e quella dei Preve o Via Lunga interamente distrutta ma cui e lecito atiribuire un venti fuochi circa.
E questo baratto di abitanti fra Andora e Laigueglia trova giustificazione nelle vicende e nelle avversità che i due paesi superarono.
Nel Medio evo, quando era la Liguria travagliata dalle frequenti incursioni di pirati Saraceni sorsero i Castelli Feudali quasi vigili scolte per ricevere il primo impeto degli invasori: fu l’epoca storica nella quale gli abitatori cercavano riparo e protezione presso le fortezze, nella quale maggior lustro e potenza ebbero i Castelli. Quando la Repubblica di Genova oppose le proprie galee ai Barbareschi e ne spinse le prore vittoriose fino agli estremi lidi d’Oriente, quando tornò, se non completa, sufficiente sicurezza sui mari, i Liguri crearono numerosi scali di commercio fra cui Laigueglia, Alassio che attrassero in breve, come fu detto, una parte della popolazione dei Castelli, di quello di Andora in ispecie.
Vicende storiche nel secolo che sta per tramontare Andora non ebbe; i Francesi campeggiarono a lungo ai tempi del 1° Napoleone sulle alture di Conna e di Tovo Faraldi, non vi furono pero fazioni d’importanza. Nel 1814 passò per Andora S. S. Pio VII attraversando il vallico di colla Micheri vale a dire l’antica strada Romana.
A ricordo dell’avvenimento fu scolpita un’iscrizione sul frontone della Cappella di S. Sebastiano la quale dice:
Qui venne e il sacro piè P. Pio posò il popol
benedì alla sua sede andò - li, XIV febbraio 1814
Si vuole autore della iscrizione un Consigliere Comunale del tempo.
Ho creduto infine di riportare brani di scrittori, episodii storici, dati statistici che in qualche modo interessano Andora ordinati cronologicamente essendomi mancato il tempo per completare il lavoro; e da altra parte non trovando sufficiente continuità, non avrei ottenuto quel nesso storico progressivo che ne è pregio speciale.
Aggiungasi che due pagine di storia locale, riferentesi al Castello o Torre di Conna ed al Monastero dei Benedettini di Marina, furono dagli scrittori trascurato affatto e meritano indagini alle quali dedicherò, potendolo, tempo e cure.
 
 
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(1) Il Gerolamo Serra nella Storia Ligure. Vol. I – pag. 7 offre i seguenti commenti al nome di Andora.
Si fa osservare la corrispondenza meravigliosa fra Andora della Liguria e Andura dell’antica Iberia.
Vol. I pag. 17 – Segesta e Soria Levante della Liguria e Polupice e Andora a ponente trassero origine anch’essi da quello stuolo di Focea (Greci) o da qualche altro appresso.
Vol. I nota 2. – Epanterii, derivano dal greco “sopra gioghi e sommità” (Bardetti) e tuttavia si nomina Andora una punta ed una borgata vicino al Capo delle Meire col torrente Meira, che i moderni vogliono l’antica Merula.
(2) E non potrebbe il nome di Andora anzi che dall’Andura Iberica derivare dalla estinta famiglia De Andoria di cui parla il Siccardi?
(3) Et l’anno di mille ducento cinquanta doi i Podestà fi Guiscardo di Pietra Santa, milanese, et non accadere altra cosa degna di rifferire se nò che il Comune comprò il Castello col territorio di Andora dai Marchesi di Clavesana per otto mila lire come appare nel registro el Comune. Et questo anno ancora si battesse gran quantità di monete.
Giustiniani – Annali della Repubblica di Genova.
(4) Una lapide posta sulla facciata volta a nord porta. la seguente inscrizione:

ISTA . ECCLEXIA . EST SANCTOR . COSME . ET .
DAMEANI . QUALe . FECIT . FIERI . IOHANNES . ACHINO .
. FABER . DIVIS . IANUAE . P . ANIMA . SUA .
MCCCCLX . DIE _. XVI . IUNII .
 
Prego non addossarmi la responsabilità degli errori.
(5) Il Cappellano aveva ottanta scudi di onorario, contava in sua dizione 850 anime di Comunione e duecento focatici.
(6) Vennero da alcuni assegnati ben 18000 abitanti ad Andora ed in altrove lo scrissi: ma la cifra sembra esagerata.
Nel riparto della milizia che Genova, dovendo nel 1290 armare 12 galee, adottò, a Savona vennero assegnati 62 uomini e 30 ad Andora.
Sapendosi che Savona faceva da 28 a 30,000 abitanti quelli di Andora debbono calcolarsi in 12,000 circa.
(7) Fu rinvenuta fra le rovine del Castello una artistica alabarda da paggio che io acquistai.
(8) Per abassamento della temperatura locale (cagionata dal diboscamento) qualche possidente delle più elevate situazioni della Valle di Andora ha convertito gli oliveti per la pastura delle pecore - (Un Coltivatore di Diano - Vol. III pag. 17).
(9) Sottopongo agli eruditi il quesito seguente: l fondatori di Laigueglia eressero un modesto santuario fra le pittoresche roccie del Capo Mele che intitolarono a N. S. delle Peňe, che in spagnolo suona delle roccie.
I fondatori di Laigueglia non potrebbero essere oriundi della Catalogna dove i casati su mentovati sono non meno frequenti?
(10) Molti casati delle migliori famiglie derivano evidentemente da agnomi e sono prova come la peste prima la mal’aria dopo, abbiano resa deserta la vallata denotando mestieri, stirpi di stranieri, commercianti o soldati di ventura che vi impiantarono dimora.
Laufredi potrebbe derivare da Land freund e da Land friede
Siffredi potrebbe derivare da Sieb freund o da Sieg friede
Micheri potrebbe derivare da Micheletti
Alamanno potrebbe derivare da Alemanno
Garassino potrebbe derivare da Garessio
Anfosso potrebbe derivare da Anfüsseu.
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Disegno di Adriano Lunghi - per gentile concessione Federica Lunghi
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