I CLAVESANA
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I CLAVESANA
(Sabrina Lunghi)
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Il famosissimo marchese Bonifacio, come lo designa il monaco Goffredo Malaterra alla fine dcll’XI sec. (46), è stato oggetto di studi piuttosto recenti, che hanno fatto luce in modo definitivo sulla sua origine; in modo particolare R. Bordone in un saggio del 1983 (47) ha individuato con chiarezza la sua genealogia, indicando in Anselmo, uno dei tre figli di Aleramo, un avo di Bonifacio.
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Forte del potere derivatogli dal padre e dalla madre, estese la sua signoria sia verso Torino che verso la Riviera. Come osserva R. Bordone: Il territorio su cui domina Bonifacio non si identifica più con nessuna delle antiche marche e non ancora con i marchesati creati dai figli (48). Inoltre non accompagnò mai il titolo marchionale con specificazioni di carattere distrettuale o signorile (49). Solo dopo la sua morte i figli cominceranno ad usare l’indicazione de Wasto o de Guasto.
Tuttavia, spiega R. Bordone, una marca del Vasto non è mai esistita (... ) come non è mai esistito nessun Bonifacio del Vasto, se non nella tradizione successiva (50).
E' probabile che con Vasto si volesse intendere la terra guasta e logi sterili come ly nomina la investitura di Otto imperatore ossia, spiega R. Bordone, citando un passo di Gioffredo della Chiesa (51), l’area incolta e scarsamente popolata che si estendeva tra il Tanaro, l’Orba e il mare Ligure, già ricordata nel diploma di Ottone I del 967 con l’espressione in desertis locis (52).
Fedozzi osserva che la desolazione di questi luoghi va imputata anche alle scorrerie dei Saraceni, che come si è visto interessarono la costa ligure e anche l’immediato retroterra appenninico (53). Della stessa opinione è Pavoni, che oltre al flagello saraceno, fa menzione anche delle incursioni ungare che interessarono quelle zone (54).
Dovendo dare una collocazione precisa a tale terra guasta, occorre delineare brevemente le mosse che portarono Bonifacio a conquistarla.
Nel 1080, morti i fratelli Manfredo e Anselmo, Bonifacio ne raccoglie l’eredità e con ogni probabilità sposa la vedova del fratello Anselmo, nonostante il veto posto da Gregorio VII (55).
Dopo aver rafforzato il patrimonio appenninico, con la fondazione della canonica di famiglia di Ferrania, si dedicò all’espansione di quello stesso patrimonio verso i territori della marca di Torino, appartenenti alla zia materna Adelaide, defunta nel 1091. Attraversò il Belbo, probabile confine fra Arduinici e Aleramici, e spinse la propria influenza su Ceva, Monforte, Monchiero a Settentrione, mentre a Sud acquisì nella Riviera il Comitato di Albenga (e quindi Andora che si trovava compresa in esso). E ancora più a Nord, si spinse sino al territorio di Busca e di Saluzzo, sino a lambire le Alpi. Non è da escludere che le sue mire includessero la stessa Asti, con la quale giunse con ogni probabilità ad un accordo, dopo la morte di Umberto di Moriana, il principale contendente di Bonifacio (56).
Alla sua morte, avvenuta fra il 1125, anno del suo testamento, e il 1132, anno in cui in una carta relativa a Noli, i figli Manfredo e Guglielmo compaiono senza il padre, il suo patrimonio viene ereditato dai figli, che si spartiscono l’eredità patema solo dopo gli anni ‘40 del XII sec., dando vita a marchesati autonomi (57) (…..).
E' indubbio però che nel 1140 gli eredi mantenessero ancora indiviso il territorio conquistato da Bonifacio, almeno per quanto riguarda la zona rivierasca, che andava da Savona fino all’Armea. Infatti nel giugno di quell’anno i marchesi Manfredo, Ugo, Anselmo, Enrico e Ottone stipulano un trattato di alleanza con Genova contro il conte Oberto di Ventimiglia (58). Motivo della contesa erano i possessi che il conte Oberto aveva a oriente della Arnica, fuori dal Comitato di Ventimiglia.
Nella guerra di conquista, i marchesi misero a disposizione di Genova un contingente di mille fanti e cento cavalieri sine Saonensibus, Nabolensibus et Albinganensibus, provenienti cioè esclusivamente dai loro domini dell’entroterra, segno evidente dell’estensione e della potenza di questi ultimi (59).
Da Anselmo, uno dei contraenti del suddetto trattato, discese la dinastia dei Clavesana, il cui potere si consolidò nella Marca di Albenga, mentre la Marca di Savona andò a Enrico il Wert, fratello di Anselmo, anch' esso presente nel trattato del 1140.
Dopo questa data avvenne dunque la spartizione del dominio di Bonifacio, e l’inizio della signoria dei Clavesana che interessò Andora per oltre un secolo.
I due figli di Anselmo, Guglielmo e Bonifacio, compaiono in un documento del 13 febbraio 1170: un trattato stipulato col Comune di Albenga (60), col quale si poneva probabilmente fine ad una contesa fra i due contraenti (61). Ciò che qui interessa rilevare è che in tale occasione i marchesi si impegnavano a consegnare agli albenganesi Andora, perché procedessero alla demolizione del suo castello, previo pagamento da parte degli Albenganesi di 400 lire. Tale distruzione, unitamente a quella dei castelli di Maro, Lavina, Vellego, Prelà (e del castrum Saxonis di non chiara identificazione), fu concordata da entrambi le parti, in quanto tali castelli erano oggetto di contesa fra i marchesi e il conte di Ventimiglia, Ottone figlio di Oberto, che aveva mantenuto i propri possessi nella Marca di Albenga, nonostante le intenzioni espresse nel trattato del 1140, menzionato sopra (62).
Dalla lettura del documento del 1170 appare chiara la importanza del Comune di Albenga, che però non aveva ancora conseguito formalmente l’indipendenza dai suoi marchesi (63). Tant’è vero che nel trattato del 17 dicembre 1192, Bonifacio (lo stesso che compare assieme al fratello Guglielmo nel trattato del 1170) si impegna a versare a Genova metà del fodro riscosso ad Albenga, cioè 200 lire. Nella stessa occasione viene menzionata Andora, la cui importanza era piuttosto relativa, dal momento che da essa proveniva una rendita di 40 lire da versarsi a Genova (64).
Genova, in pratica, riconosceva a Bonifacio la giurisdizione su tutta la Marca di Albenga: a Petra videlicet usque aquam Armeani, ma contemporaneamente tendeva ad emancipare le località della Riviera e delle valli interne, per indebolire, evidentemente il potere marchionale. Testimonianza di ciò è un trattato del 18 marzo 1202, stipulato fra il Comune di Genova e gli uomini delle Valli di Arroscia, di Andora, di Oneglia, di Prelà, di Rezzo e di Nasino (65).
In esso si sanciva la possibilità di uno scambio di merci fra le due parti: Non faciemus (..) devetum grani, blave seu alicuius viande vel mercationis lanuensibus et hominibus districtus lanue quin libere possint ea lanuam deferre, nec aliunde delatam prohibebimus lanuam deferri ullo modo (...).
Inoltre veniva sancito un patto di mutuo soccorso e difesa, e i Genovesi concedevano ai loro contraenti l’apertura di due mercati annuali, uno ad Andora, il primo Agosto, l’altro ad Oneglia, il primo Novembre: Concedimus vobis et damus ad kalendas Augusti nundinam unam ad Andoriam, et alteram in festo omnium Sanctorum ad Unegiam, (.. ).
Genova, dal canto suo, garantiva il diritto a ricorrere alla Curia genovese si aliquis de comitatu Victimilii, de Marchia Albingane et episcopati Saone vellet vos vel aliquem de prescrjptis vallibus et castris forciorare de aliquo contra ius.
Tali concessioni, osserva R. Pavoni, ebbero probabilmente una portata rivoluzionaria, tale da determinare la nascita di una organizzazione comunale nelle valli interessate (66).
Di fatto, l’intervento di Genova favorì la costituzione di una lega di comuni, la Iura (67), che sappiamo dalle fonti contrapposta ai comuni della Riveria, e che fu riconosciuta politicamente da Genova, la quale si preoccupò di salvaguardare i diritti signorili a cui, comunque, rimanevano sottoposti i comuni della Iura: salvis drictis et iusticiis nostrorum dominorum.
Forse neppure Genova si rese conto delle conseguenze che si sarebbero di lì a poco verificate, a seguito delle concessioni summenzionate: nel 1204 scoppiò una violenta contesa fra le località aderenti alla Iura e i restanti centri costieri, di cui abbiamo notizia in un documento del 7 Agosto 1204 (68). In esso il podestà di Genova Guifreoto Grassello intima civitatibus locis et hominibus de riveria et illis de iura et valle arocie et valle unegie et valle andorie quod de cetero inter se fìrmam pacem teneant, dopo essersi combattuti aspramente, come si rileva da quanto detto in seguito: ordinamus fìnem et refutationem de omnibus malefìciis et gastis hominicidia et incendiis et domorum diruptione et percussionibus que inter eos evenerunt (..).
Sedata la rivolta, Genova si preoccupò di assicurare la restaurazione dell’ordine precedente, intimando alle parti il versamento di redditus et prestationes et consuetudines ai rispettivi signori, e cioè al vescovo e alla chiesa di Albenga, ad altre chiese, al marchese Bonifacio di Clavesana, al conte di Ventimiglia, a Bonifacio della Lengueglia, a nobili e ad altri cittadini di Albenga, ai signori di Prelà.
Non è da escludere una responsabilità diretta del marchese Bonifacio nei fatti suddetti, come osserva Fedozzi, il quale rileva che il marchese Bonjfacio, avendo avuta parte attiva nei disordini, fu multato per la somma di 325 lire (69).
Gli avvenimenti del 1204 non furono privi di conseguenze. Il moto di emancipazione che esplose violentemente in quell’anno, ebbe successive ripercussioni soprattutto in quelle località più ricche e desiderose di autonomia. Nel 1226-27 Albenga e Savona insorsero contro Genova (70) e trovarono nei marchesi Oddone e Bonifacio Tagliaferro, nipoti di quel Bonifacio citato nel documento del 7 Agosto 1204, degli alleati ansiosi di affrancarsi dal potere sempre più oppressivo di Genova.
Ma il fallimento di tale iniziativa, a seguito della resa di Savona, costò ai marchesi pesanti perdite: dovettero cedere a Genova i loro diritti sui castelli e le ville di Diano, Porto Maurizio, Castellaro, Taggia, S. Giorgio e Dolcedo (71). Mantennero tuttavia la giurisdizione sui castelli e le ville di Andora e di Stellanello, a patto però che dicti homines debeant ire in exercitum et cavalcatam in sevicio comunis ianue, che fosse corrisposta a Genova la cabellam salis, oltre ad una dacita di libras VII pro custodia bonifacii ipsi comuni e fossero rispettati i deveta comunis ianue facta per mare (72).
Ma una rivolta scoppiata nel 1233, ancora più violenta di quella del 1204, fra i rustici delle valli di Oneglia e di Arroscia, costrinse i marchesi Bonifacio Tagliaferro e il nipote Bonifacio Minore, figlio del defunto Oddone, a divenire cittadini genovesi e assumere precisi impegni nei confronti di Genova: partecipazione all’esercito e alla cavalcata genovesi da parte di uno dei due marchesi, o di una persona di loro fiducia (et unus ex nobis marchionibus ibit et erit in eo exercitu vel cavalcata, et si ire non poterit mittet se idoneum cambium), nonché dei loro uomini; un contributo di uomini sarebbe stato inviato nel caso di un armameantum galearum da parte del comune di Genova; il ricorso al foro genovese in caso di controversie con cittadini genovesi.
Inoltre i rectores omnium locorum predictorum si sarebbero impegnati a giurare annuatim deveta generalia comunis ianue et specialiter de facto salis. Ed ancora Genova poteva hominibus ipsorum locorum banna imponere et exigere.
In cambio il comune di Genova si impegnava a sedare rassas et iuras presentes et futuras omnium ipsorum locorum,
Da questa ultima condizione, si può presumere che la situazione politica e sociale delle terre sottoposte ai marchesi non fosse delle migliori. Questi luoghi sono nominati nel documento suaccennato: il castello di Teco, metà del castello di Rocca Crovara, i castelli di Cartari, Castelbianco, Zuccarello, Cocano, Stellanello e Andora. Un dominio quindi che si estendeva soprattutto all’interno, probabilmente fiorente, ubicato in posizione strategica, ma insofferente nei confronti dei Clavesana, i quali dovettero reperire i censi signorili con sempre maggiore difficoltà. A ciò si aggiunga che Genova richiedeva, per i servizi di vigilanza suaccennati, una cospicua e puntuale ricompensa. La misura dei problemi economici dei marchesi la si può determinare valutando i numerosi debiti che essi contrassero a partire da quegli anni.
Bonifacio Tagliaferro, il 3 Agosto 1234 stipulò un mutuo con Merlone de castro da restituirsi entro anno novo proxime venturo usque ad annum unum per 60 lire genovesi (74), che però sappiamo non restituite entro il termine convenuto, perché due anni più tardi (26 febbraio 1236) il marchese fu condannato a risarcire il proprio fideiussore Nicoloso de' Mari (75).
Il 23 febbraio 1235 fu la contessa Mabilia, vedova di Oddone, col figlio Bonifacio a contrarre un mutuo di 137 lire e 12 denari con Enrico Cepolla di Albenga, garante il marchese Bonifacio (76).
Pochi giorni più tardi, alla stessa Mabilia e a Giacomo Casanova fu intimato di pagare entro quindici giorni i tributi dovuti al Comune (77). Ma evidentemente la contessa Mabilia non riuscì a sanare i suoi debiti, perché l’8 giugno 1236, ella e il figlio Bonifacio ipotecarono a Enrico Cepolla metà del Castello e della villa di Andora, per 330 lire (78). Invece l’altra metà del castello, della villa, della giurisdizione e del distretto di Andora e Stellanello fu venduta da Bonifacio Tagliaferro, cognato della contessa Mabilia, a Manuele e Lanfranco Doria il 3 luglio 1237. Nel contempo venivano ceduti tutti i privilegi goduti dal marchese su quel territorio: angariis et perangariis bannis fodris albergarus conditionibus venationibus piscationibus pedagiis toloneis (79).
Ad aggravare la già precaria situazione esistente fra i Clavesana e Genova. intervenne un’alleanza fra Bonifacio e la madre Mabilia con Albenga, a discapito di Genova impegnata nella guerra con Federico II. In questa occasione venne fortificato il castello di Andora, sul cui territorio infierì la flotta genovese il 25 agosto 1242 (80).
Il 17 febbraio 1251 fu stipulata la pace fra Genova e i marchesi di Clavesana, figli di Mabilia (81). Nonostante le condizioni piuttosto miti, i marchesi non furono comunque in grado di pagare i debiti contratti in precedenza col comune, e così l’anno successivo, vennero avviate le trattive per la cessione a Genova della parte di Andora ancora in mano ai marchesi.
Il 7 giugno 1252 il podestà di Genova Guiscardo di Pietrasanta, confermò la nomina di Guglielmo di Garessio a curatore di Manuele e Francesco, figli del defunto Oddone, per castro villa. curia contili. segnoria fidelitatibus hominum et omni iurisdictione andore et totius posse et districtus (82).
Il giorno stesso i due fratelli, assistiti da Guglielmo di Garessio, vendettero per 8000 lire genovesi a Porchetto Streiaporco castrum et villam andore. cum burgo tota curia contili segnoria et dominio et territorio et districtu atque iurisdictione nonché fidelitates hominum et hominia. ceteraque servitia realia et personalia angaria et perangaria hominum predicti castri. Ville burgi atque posse et territorii illius. item pedagia decimas spallas. panes. amasias. littora maris cabellam piscium sive introitum ipsius cabelle. item introitus beccarie et bestiarum qui est. Item introitus cuiuslibet foci andore qui est (...) banna (..) omnes domnicatas. prata et nemora (..) et specialiter braidam que est (..) molendinum (..) fumum (..) quicquid ad dominium et segnoriam atque regalia pertinent contili dicti castri. et pertinere debet. tam in rivis quam in fluminibus. rupis venationibus. piscacionibus. nemoribus pratis. operibus hominum dicti loci. I marchesi inoltre aggiunsero damus tibi licentiam intrandi et accipiendi corporalem eorum possessionem e infine specificavano i motivi che lì avevano costretti a tale vendita: quod predicti manuel et francischus. non modico ere alieno gravati erant quod imminebat eisdem ex personis suorum predecessorum (83).
Porchetto Streiaporco agiva per conto del comune di Genova. Infatti il giorno seguente, l’8 giugno 1252, dichiarava a cinque degli otto nobili del comune (Guiscardo di Pietrasanta podestà di Genova, Guglielmo Guercio, Iacobo De Vinaldo, Guidone Spinula, Iacobo Bestagno) quod emptionem quam feci a manuele et francisco marchionibus cravexanae de castro villa iurisdictione et territorio andore (..) illam feci de mandato vestro. pro comuni ianue michi facto seu mandato dicti comunis e specificava omnia demum transferendo in ipsum comune. que michi acquisita sunt per ipsam emptionem, (84).
Entro la fine dello stesso mese di giugno, il comune di Genova si preoccupò di acquisire dai Doria e da Enrico Cepolla di Albenga i diritti che questi ancora mantenevano su Andora, a seguito dei debiti che con essi avevano contratto rispettivamente Bonifacio Tagliaferro e la contessa Mabilia.
Il 12 giugno 1252 Enrico Cepolla nomina quale suo nuncium et procuratorem Aicardo Cepolla ad cedendam iura et actiones reales et personales que et quas habeo et michi competunt tam in sortem quam in penam et expensas contra bonifacium marchionem de cravexana et heredes quondam mabilie matris ipsius bonifacii; i diritti acquisiti dal comune di Genova ammontavano a librarum tricentarum triginta ianue (85). Come si specifica meglio in un documento che riporta la stessa data: ego henricus cepulla fàcio (...) te aicardum cepullam (..) meum certum nuncium et procuratorem (..) ad recipiendas securitates et obligationem in publico imstrumento pro me et meo nomine a comuni ianue sub aliquo alio pro comuni (86).
La rinuncia definitiva, operata da Aicardo, procuratore di Enrico Cepolla, avvenne il 22 giugno 1252, col saldo del debito suddetto da parte del comune di Genova (87).
Lo stesso avvenne il 15 giugno 1252 quando Manuele e Lanfranchino Doria cedettero i diritti che rivendicavano sul territorio di Andora al comune di Genova pro libris mille centum ianue. quas accepisse confìtemur ex precio librarum octo millium ianue. pro quibus manuel et francischus marchiones cravexane fecerunt venditionem. porcheto streiaporco. de castro et villa et iurisdictione andore (88).
Da questo momento Andora diviene dominio del comune di Genova e la storia della prima sarà invariabilmente legata a quella della seconda.
Fra le poche notizie che è possibile reperire da questo momento in poi, va citato lo scontro fra guelfi e ghibellini. svoltosi ad Andora nel 1321. nel quale Emanuele Spinola, figlio di Rinaldo, vescovo di Albenga, perse la vita dopo aver attaccato i guelfi mandati da Genova (89). E' questo un episodio di una vera e propria guerra civile che conobbe fasi alterne.
C. L. Forti, in una succinta esposizione dei fatti storici riguardanti il Castello di Andora, riferisce che il castello fu preso d’assalto dai Ghibellini nel 1302, riconquistato dai Guelfi nel 1320, distrutto vent’anni dopo in ogni sua parte dal vicario imperiale (90).
Quest’ultimo fatto è confermato dalle parole dello Stella: vicarius quidam pro dominio Ianue in Occidentale Riparia (..) omnique parte fortilicia Andoriae dirui fecit (91).
Nel 1340, durante la guerra civile che vide contrapposti i Doria e il comune di Genova, il castello di Andora (e quello di Porto Maurizio) venne distrutto dalla Repubblica, temendo che le due fortificazioni potessero essere utili ai ribelli, dopo che questi avevano assalito il castello di Prelà, tenuto da Genova (92).
Circa a metà del XIV sec. (1348), anche Andora come tutti i paesi del Genovesato, conobbe i disastrosi effetti di una epidemia di peste che produsse un alto tasso di mortalità fra la popolazione (93). Nello stesso anno si verificò un tremendo terremoto che colpì drasticamente l’estremo Ponente ligure: il sisma, dell’ottavo grado della scala MCS, ebbe epicentro nel nizzardo (94).
Genova, pur avendo acquisito Andora nel 1252, forse non esercitava su di essa la piena autorità, dal momento che il 3 ottobre 1386, Giovanni di Saluzzo dei marchesi di Clavesana, cedendo al comune di Genova tutte le porzioni di feudi che gli erano pervenute per eredità materna, nomina anche Andora: et eorum castelaniis (95) in valle andorie constitutis. que omnia et singula supradicta hodie tenetur per egregios dominos lazarinum karolum et ipsorum nepotes de carreto cum mero imperio omnimoda et totali iurisditione et qualibet potestate atque segnoria hominum dictorum locorum sive ibidem habitantium et habitatorum nec non cum omnibus et singulis villis burgis possessionibus fluminibus sive rivis molendinis aquariciis piscationibus venationibus aucupationibus fìdelitatibus et aliis rebus et iuribus quibuscumque spectantibus et pertinentibus ad dicta loca et superius vendita et concessa vel aliquem ipsorum sive ad personam dicti domini iohannis cum omnibus et singulis quomodocumque et qualitercumque coniunctis conexis coherentibus et dependentibus ab eisdem vel aliquo ipsorum (96),
Sotto Genova, Andora diviene uno dei tanti luoghi soggetti ad essa, la cui storia si identifica con quella della sua dominatrice. Ma è proprio Genova che dal momento della sua acquisizione ci fornisce una serie di dati precisi sulla vita economica e sociale della valle di Andora, che ci permettono di comprendere in concreto quale era la vita condotta da essa a partire dalla metà del XIII sec.
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46 PONTIERI 1928, p. 93
47 BORDONE 1983, pp. 587-602.
48 BORDONE 1983, p. 588.
49 BORDONE 1983, p. 588.
50 BORDONE 1983, p. 589.
51 MULETTI 1848, col. 858.
52 M. G. H., doc. 339.
53 FEDOZZI 1988, p. 68.
54 PAVONI 1992, p. 182.
55 CASPAR pp. 470-471.
56 BORDONE 1983, pp. 596-599.
57 BORDONE 1983, p. 601.
58 IMPERIALE DI SANT'ANGELO 1936-42, I, pp. 126-127, n. 106.
59 BORDONE 1983, p. 600 e PAVONI 1990, p. 319.
60 Originale in Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, materie politiche, trattati e negoziazioni, Mazzo l, n. 70.
6l PAVONI 1990, p. 320.
62 PAVONI 1990, pp. 321-323.
63 PAVONI 1990, p. 314.
64 IMPERIALE DI SANT’NGELO 1936-42, III, p. 83, n. 27.
65 IMPERIALE DI SANT’ANGELO 1936-42, III, p. 203, n. 81.
66 PAVONI 1990, p. 331.
67 Appartenevano alla Iura gli abitanti del castello di Ortovero, Rivernate, Onzo, Aquila, Rocca Crovara, Verasseno, Teco, Pornassio, Lavina, Rezzo, Castelbianco, Cartari, Andora, Stellanello, Oneglia, Bestagno, Gazzelli, Monroso, Maro Conio, Triora. Cfr. Tav. VIII.
68 LIBER IURIUM 1854, l, col. 514, n. CCCCLXXI.
69 FEDOZZI 1988, p. 85.
70 PAVONI 1990, p. 336.
71 PAVONI 1990, p. 336.
72 LIBER IURIUM 1854, l, col. 829, n. DCLXI.
73 LIBER IURIUM 1854, l, col. 933, n. DCCXIII.
74 LIBER IURIUM 1854, I, col. 942, n. DCCXIX.
75 LIBER IURIUM 1854, I, n. DCCXXXVIII e PAVONI 1990, p. 339.
76 LIBER IURIUM 1854, I, col. 959, n. DCCXXIX.
77 LIBER IURIUM 1854, I, nn. DCCXXVIII-DCCXXX-DCCXXXI.
78 LIBER IURIUM 1854, col. 971, n. DCCXLI.
79 LIBER IURIUM 1854, I, col. 973, n. DCCXLII.
L' angaria è propriamente un servizio di posta o trasporto, eseguito da privati come pubblico servizio, sia a cavallo, che a piedi o su nave. In senso più ampio, si intende per a. un servizio di qualsiasi tipo posto su una persona o una terra.
Per perangaria si intende un servizio di trasporto che si aggiunge al precedente.
Il bannus è un ordine notificato solennemente da una pubblica autorità, prescrivente o interdicente un’azione determinata sotto la pena di un’ammenda.
Il fodrus è una requisizione di foraggio per cavalli.
L’albergarium è un diritto di alloggio e approvvigionamento.
Il toloneum è una tassa sul trasporto e la vendita di mercanzie.
(La traduzione dal latino è stata effettuata con la consultazione di NIERMEYER 1976).
80 BELGRANO e IMPERIALE DI SANT’ANGELO 1890-1929, p. 133.
81 LIBER IURIUM 1854, I, col. 1037, n. DCCCXXXVIII.
82 LIBER IURIUM 1854, I, col. 1153, n. DCCCXXXII.
83 LIBER IURIUM 1854, I col. 1154, n. DCCCXXXIII.
84 LIBER IURIUM 1854, I, col. 1156, n. DCCCXXXIV.
85 LIBER IURIUM 1854, I. col. 1157, n. DCCCXXXV.
86 LIBER IURIUM 1854. I, col. 1158. n. DCCCXXXVI.
87 LIBER IURIUM 1854, I col. 1162 n. DCCCXL.
88 LIBER IURIUM 1854. I col 1160. n. DCCCXXXVIII.
89 UGHELLI 1717-22, col. 931.
90 FORTI 1981, p. 13.
91 STELLA 1975, p. 1075.
92 FEDOZZI 1988, p. 109.
93 STELLA 1975, p. 1090.
94 FEDOZZI 1988, p. 114,
95 Castellania: circoscrizione sotto l’autorità di un castellano, ma anche i diritti e i poteri connessi con la dignità di un castellano. Cfr. NIERMEYER
1976, sub voce Castellania.
96 LIBER IURIUM 1854, II, col. 1060, n. CCXCIII.
Testo tratto dalla tesi di laurea “Insediamenti medievali nella Valle del Merula: esame tipologico" di Sabrina Lunghi - Anno Accademico 1995/1996, rel. Prof. C. Varaldo.
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IL TESTAMENTO DI BONIFACIO DI CLAVESANA
Castello di Andora - marzo 1221
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Bonifacio di Clavesana, un venerdì nel marzo 1221, in una “caminata” (sala riscaldata da un camino, destinata alle assemblee e udienze) del Castello di Andora, in presenza del prete locale e di alcuni vassalli, dettò le sue ultime volontà, come riportato in una “particula” del suo testamento che si è conservata:
“Anno Domini millesimo ducentesimo vigesimo primo, indictione nona, die Veneris sexta, exeunte Martio. In praesentia infrascriptorum testium, quorum nomina inferius scripta declarantur. Dominus Bonifacius Marchio Cravexanae in testamento, quod fecit in infirmitate sua judicavit Ecclesiae Sanctae Mariae de Casulis libras quinquaginta pro remedio animae suae et suorum. Quod testamentum factum fuit inter Caminatam Castelli Andoriae.
Interfuerunt testes: Presbyter Pignolus de Andoria, Dominus Bonifacius de Vinguilia, Jacobus de Casanova, Bartholomeus judex de Diano, Oddo de Vinguilia, Jacobus Carnaitolus, Wilielmus de Cortandono, Barberius Anselmo de Caymarana Notarius,
interfui, scripsi praedictum testamentum, de ipso testamento, prout ibi continebatur, in hoc testamento apposui.
Anno Domini 1221”.
[“Nell’anno del Signore mille duecento venti uno, indizione nona, giorno Venerdì sei, mese di Marzo. In presenza dei sottoscritti testi, “quorum” elenco dei vassalli dichiaro. Signor Bonifacio marchese di Clavesana nel testamento, che fece per infermità sua assegnò alla Chiesa di Santa Maria di Casotto lire 50 per “remedio” della sua Anima e dei suoi. Questo testamento fù fatto nel locale riscaldato del Castello di Andora”.
Alla presenza dei testi: Presbitero Pignolo di Andora, Signore Bonifacio di Lingueglia (in tempi più recenti modificato in Tagliaferro), Giacomo di Casanova, Bartolomeo giudice di Diano, Oddone di Lingueglia (Tagliaferro), Jacopo Carnaitolo, Guglielmo di “Cortandono”, Notaio Barberio Anselmo di Camerana,
essendo me presente, scrisse predetto testamento, di questo testamento, per quanto in quel momento conteneva, in questo testamento apposi.
Anno Domini 1221”].
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DINASTIA DEI MARCHESI CLAVESANA