MORRO
FRANTOIO MORRO - (1840)
(Testo di Carlo Volpara - Tutte le foto per gentile concessione Famiglia Morro)
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Il Frantoio Morro è situato ai piedi della collina sul lato destro del Merula a metà tra San Bartolomeo e Bossaneto e si tratta di un antico edificio risalente al XVII secolo.
Era stato di proprietà dei frati che allora si trovavano alla cosiddetta Cà di Lucchi nella Borgata dei Giancardi che si trova proprio di fronte al frantoio al di là del Merula.
Il gumbo macinava sia olive che granaglie e lavorava ad acqua ed a sangue nei periodi di siccità.
Infatti possedeva due macine una per le granaglie ed una per le olive.
La lavorazione ad acqua era attuata grazie alla stupenda enorme ruota di sei metri di diametro, ancora splendidamente conservata e presente sul retro del fabbricato, che fino a pochissimi anni fa per ben tre secoli ha dato il movimento alle macine del gumbo con un salto d’acqua di altrettanti metri.
Quando i frati se ne andarono intorno al 1840 circa il frantoio venne acquistato da Andrea Divizia, il quale lo passò al proprio figlio Giobatta, il quale lo trasmise a propria volta alla figlia Caterina, la quale andò in sposa a Giobatta Morro padre di Mario ed Ottavio che, dopo la scomparsa di Mario, lo conduce assieme all’attivissima moglie Renata e agli intraprendenti figli Fabio e Manuela.
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LA FAMIGLIA MORRO
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IL "FRANTOIO FRATELLI MORRO" DESCRITTO E PRESENTATO DA MANUELA E FABIO MORRO
Il Frantoio oggi.
Prima della stagione di raccolta delle olive, che iniziava a novembre e poteva arrivare anche a maggio, si preparava il terreno.
Fine estate il terreno veniva in primo luogo falciato, arato e poi veniva passato il “bestasso” (attrezzo di legno che serviva a spianare il terreno); contestualmente venivano puliti con la “raspetta” (tipo di zappino squadrato) o rastrellati (con rastrello) le rive e i bordi delle fasce.
Questo tipo di lavorazione e preparazione del terreno facilitava e permetteva poi la raccolta a mano delle olive.
Per la raccolta a mano delle olive la forza lavoro “quota rosa” arrivava, dai paesi dell’entroterra e del basso Piemonte: le donne venivano, nella maggior parte dei casi, ospitate dalle famiglie che andavano ad aiutare, usufruendo di vitto e alloggio, e ricevevano poi una paga mensile o una permuta in olio.
La prima fase della raccolta avveniva a seguito della caduta naturale a terra del frutto raccolto quindi a mano, successivamente si utilizzavano lunghi bastoni in legno per abbacchiarle, stendendo sotto le piante dei teli bianchi di tessuto.
I teli bianchi che erano i “predecessori” delle reti per olive utilizzate oggi per la raccolta, venivano poi lavati ogni anno. Le olive raccolte erano messe in sacchi di tela o di juta.
Significativo è il ricordo relativo all’anno in cui è finita la seconda guerra mondiale quando la raccolta si era protratta anche nei mesi estivi, in quanto era stato imposto il divieto di utilizzare i teli perché sarebbero potuti servire come segnalazione/riferimenti agli aerei.
C’era una realtà “domestica” molte famiglie avevano un piccolo frantoio in uso, poi c’erano invece frantoi più articolati che ricevevano e compravano le olive, avvalendosi di un “sensà” (un mediatore) che misurava, contrattava e pagava le olive. Il ns frantoio si avvaleva della collaborazione di 7 sensà distribuiti su tutta la vallata.
L’unità di misura per la compravendita era la “quarta” un contenitore cilindrico costruito prima in legno e poi in ferro, con un rapporto di capacità/peso, corrispondenti a: litri 20/ KG 12,5 di olive.
Ogni anno, la “quarta” doveva essere verificata dall’ufficio provinciale metrico che rilasciava un certificato di idoneità da conservare ed esibire agli organi di controllo, questo uso è stato fatto sino agli anni 90’.
Oggi le olive sono pesate avvalendosi di bilance verificate di vario tipo, ma la contrattazione per stabilire il prezzo di compravendita, avviene ancora rapportandosi alla quarta.
Le olive erano schiacciate nelle macine, (grosse ruote di granito). Il ns frantoio ne aveva tre, che giravano grazie alla forza motrice dell’acqua proveniente dalla “Bea” un canale che 200 mt a monte deviava parte dell’acqua del torrente Merula andando ad azionare la “ruassa”, una grande Ruota in ferro posta dietro al frantoio che a sua volta trasmetteva il movimento alle macine, il canale restituiva poi l’acqua al torrente subito dopo il frantoio.
La pasta così ottenuta dalla macinazione delle olive veniva messa in un contenitore chiamato “baastru” e poi manualmente si riempivano gli “spurtin”: delle sacche circolari di corda intrecciate; gli stessi “spurtin” venivano poi impilati uno sull’altro in un torchio azionato manualmente.
La parte liquida che si ricavava dalla pressatura della pasta era costituita da acqua e olio, quest’ultimo si separava naturalmente per affioramento, (grazie semplicemente alla differenza di peso specifico dei due liquidi), veniva poi recuperato con un mestolo e poi tramite uno strumento chiamato “lecca” un particolare mestolo che grazie alla sua conformazione e alla maestria ed esperienza dell’esperto mastro frantoiano permetteva di recuperare facilmente l’olio senza l’acqua.
La parte solida dopo essere stata torchiata veniva recuperata dagli “spurtin” e rimessa nella macina per essere nuovamente rimacinata, con l’aggiunta di acqua, affrontando un secondo processo di torchiatura da cui si ricavava ancora olio cosiddetto di seconda spremitura.
Gli olii ottenuti oltre a venir utilizzati nell’uso quotidiano come condimento, erano impiegati per alimentare le lampade ad olio di qui la dicitura “olio lampante”, è memoria di ns padre come da bambino, nella casa paterna venisse utilizzato in quanto non c’era la corrente elettrica; e poi ancora durante la guerra era stato un’ ottima merce di scambio di generi alimentari con il vicino basso Piemonte, permettendo a chi aveva questa rara merce di assicurare alle proprie famiglie, anche se numerose, di avere sempre di che sfamarsi.
Andando avanti nel tempo, l’olio prodotto nei frantoi per essere commercializzato, veniva periodicamente portato per essere venduto ad Imperia sulla piazza, “U Rundò” (l’attuale Piazza Dante): le ditte confezionatrici attraverso i loro mediatori, assaggiavano l’olio, contrattavano il prezzo. Una volta finita la contrattazione l’olio veniva ritirato dalla ditta per essere confezionato ed esportato all’estero, sino anche ad arrivare via nave nella, allora lontana, America.
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Alle origini dell'olio di oliva: antiche macine e un vecchio ulivo.
L’obiettivo della nostra azienda familiare è qualità, produzione e innovazione.
Per questo ci siamo prefissati di cercare di rimanere sempre aggiornati con le innovazioni che offre il mercato in continua evoluzione.
Il nostro obiettivo è di migliorare e arricchire il reparto confezionamento dei prodotti sott’olio per poter investire in una maggior distribuzione, e ottenere una filiera corta più efficiente e veloce.
Noi siamo la tipica azienda familiare.
Le varie mansioni sono suddivise equamente tra mio padre, mia madre, mia sorella ed io.
Inoltre abbiamo alcuni fidati e volenterosi collaboratori che si occupano principalmente dei nostri uliveti.
Il nostro frantoio è condotto dalla mia famiglia dal 1840.
E’ stato però edificato precedentemente dai frati, principali fautori, tra l’altro, della olivicoltura in Liguria.
Ora, passando di generazione in generazione, siamo arrivati alla quinta generazione e lavoriamo sulla sesta, con due bellissime bambine.
Le olive, un tempo, arrivavano in frantoio in sacchi di Juta e venivano misurate con la quarta, un contenitore cilindrico avente la capacità di 20 litri in volume, corrispondente ad un peso di circa12,5 kg di olive.
Nella nostra zona, ancora oggi, questa misura viene usata per la contrattazione e il commercio delle olive.
Al giorno d’oggi le olive sono trasportate in cassette forate, per permettere una migliore areazione, vengono defogliate da un macchinario, chiamato deramifogliatore.
Dopo questo step ha inizio il vero processo di trasformazione.
Le olive vengono versate in una tramoggia, vengono pesate e successivamente avviate ad una apposita lavatrice.
La fase successiva è la frangitura, che una volta veniva fatta tramite le tradizionali macine in pietra, oggi invece le olive vengono schiacciate passando attraversando due rulli di pietra, che costituiscono il molitore in continuo, formando una pasta composta dalla polpa e dal nocciolo dell’oliva stessa.
Segue la fase detta gramolazione; è importantissima e avviene in vasche chiuse dette gramole.
In queste vasche, la pasta viene mescolata lentamente al fine di favorire la fuoriuscita dell’olio e l’aggregazione delle singole gocce di olio in gocce più grandi, effetto che si può vedere direttamente a occhio nudo osservando la pasta all’interno della gramola, che da grezza e opaca, diventa liscia e oleosa in una trentina minuti.
Arriviamo quindi alla fase di estrazione, che avviene tramite una centrifuga orizzontale trifase, il decanter, il quale separa la parte solida detta sansa, dalla parte liquida oleosa e dalla parte liquida acquosa.
Vi è poi l’ultima fase di affinamento, che avviene tramite separatori verticali, che come dice il nome stesso, vanno a separare per differenza di peso specifico l’olio dalla minima parte acquosa ancora presente.
Questo avviene grazie al peso specifico dell’olio che è più basso rispetto a quello dell’acqua infatti 1 litro di olio pesa 916 gr, di fatto “galleggia sull’acqua” e andandolo a centrifugare andiamo ad aumentare questa stratificazione dei due fluidi che nel separatore hanno due uscite diverse, più bassa per l’acqua e più alta per l’olio.
Importantissimo sottolineare che in tutto il procedimento di estrazione dell’olio dalle olive vengono utilizzati solamente procedimenti meccanici, infatti si può ottenere un olio di qualità soltanto se le olive di partenza sono ottime e se si sono lavorate a regola d’arte.
L’oliva Taggiasca tipica della nostra zona ci permette di ottenere un olio delicato, piacevole al palato dolce e appena piccante, con dei sentori di carciofo e mandorla.
Perfetto anche in abbinamento ai piatti più delicati.
La Famiglia Morro: Manuela, Renata, Ottavio, Fabio.
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