UMBERTO ROSSI - Andora nel tempo

Andora nel tempo
Andora nel tempo
iniziativa ideata e realizzata da MARIO VASSALLO
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UMBERTO ROSSI

UN COSTRUTTORE ANDORESE - UMBERTO ROSSI
(Mario Vassallo)

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Passata la Prima Guerra Mondiale, una famiglia proveniente dal Genovesato, nei dintorni di Cogoleto, si trasferì a Andora, insediandosi ed acquisendo le proprietà terriere sul versante del poggio di San Damiano, nella località localmente conosciuta come “Cà giànca”.
La denominazione locale era dovuta alla presenza di un rudere, chiamato appunto “cà giànca” (casa bianca) a causa del colore di ciò che restava delle murature.
L’edificio era bruciato durante la prima Guerra Mondiale e si raccontava che in precedenza, in tempi antichi, fosse stato un “convento” di monache legate al Priorato di San Martino.
Il “capofamiglia”, Bartolomeo “Ciumè” Rossi (classe 1891), era un contadino, che aveva lavorato come “mastro d’ascia” nei cantieri navali del genovese e per questo motivo molto abile con gli utensili da taglio, con i quali era diventato un esperto potatore.


Bartolomeo "Ciumè" Rossi
Foto per gentile concessione Giusi Rossi

La proprietà famigliare è caratterizzata da alcuni ettari di terreni, per la maggior parte collinari e boschivi, concentrati principalmente in un unico grande appezzamento, all’interno del quale la famiglia si era insediata in un piccolo edificio rurale esistente, successivamente sistemato ed ampliato, per poi spostare successivamente la propria residenza in altri due ulteriori fabbricati costruiti nel corso degli anni.
In un periodo difficile, con la vita dura tipicamente contadina, nel corso del primo decennio di permanenza andorese, la famiglia cresce con l’arrivo di due figlie e, per ultimo un figlio.
La primogenita Olga (classe 1919) avrà una vita famigliare segnata da eventi dolorosi, perdendo prima l’unica figlia in giovanissima età, a cui seguiranno lutti coniugali; la vita della seconda figlia Gina (classe 1921), promettente pianista ed insegnate di musica, sarà stroncata da una “penna – bomba” lanciata da aerei in tempo di guerra e ritrovata accidentalmente, poco lontano da casa, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale (1945).
Il figlio Umberto (classe 1929), mandato a studiare in collegio, tornerà diplomato Perito Agrario, ma sarà conosciuto da tutti come Geometra, grazie alla sua abilità con cui si proporrà e realizzerà, non solo come progettista, ma principalmente come costruttore edile.


Umberto Rossi
Foto per gentile concessione Giusi Rossi

Negli anni ’50, in un periodo concomitante con l’inizio dello sviluppo edilizio andorese, con spavalderia, coraggio e determinazione (caratteristiche tipiche del suo carattere e che lo contraddistingueranno sempre), Umberto legge bene il cambiamento in atto, sfruttando l’acquisizione dei terreni di proprietà famigliare e successivamente vendendoli in piccoli lotti per la realizzazione di villini che andranno progressivamente a formare il “Villaggio Ca bianca” a confine con la zona di Mezzacqua.
Ogni lotto viene venduto mantenendo dei diritti che legano i nuovi insediamenti ad una sorta di consorzio gestito con pieno potere decisionale da Umberto; per quasi tutti si occupa della progettazione dei fabbricati da realizzare ed anche della costruzione.
In breve tempo, con queste piccole operazioni immobiliari, Umberto si finanzia ed organizza una vera e propria impresa edile, che gli permette di avventurarsi in interventi di maggiore entità, sfruttando in parte i terreni di proprietà ed in parte agendo con convincimento ed acquisizione dei terreni delle famiglie contadine confinanti, eseguendo vere e proprie lottizzazioni.


Umberto in via Fontana
Foto per gentile concessione Giusi Rossi

Intanto si manifesta la sua eclettica creatività con la costruzione di una torre radio presso la propria abitazione di residenza.
La struttura era costituita da 3 ferri di diametro 14, saldati tra loro, con un’altezza di circa metri 35, con sopra fissata un’antenna ad ombrello, comandata da terra tramite un motorino, in modo che, ruotandola ed orientandola, potesse ricevere da diversi paesi, per mezzo di una ricevitrice - trasmettitrice Rodi sistemata in casa.
Poco lontano, un maneggio privato che si affaccia sulla “strada di Noceto”, nonché un acquedotto privato e, “come vezzo personale” viene adattato il nome di “Ca bianca” all’edificio di residenza, “spostando” il nome dalla originaria destinazione (l’antico fabbricato bruciato e diruto): nei tempi successivi, a livello locale, sarà sempre identificato con tale nome l’edificio principale di residenza, perdendo completamente la percezione ed il ricordo di ciò che preesisteva.


Il maneggio nella strada di Noceto
Foto per gentile concessione Andreino Ordano


Nella foto, Umberto arrampicato sulla torre radio presso la sua residenza
Foto Berto Vassallo

Un ultimo aspetto caratterizza curiosamente un servizio di “pubblica utilità” portato avanti per circa 30 anni: un piccolo acquedotto privato che discribuiva acqua potabile ad un'ampia zona di Andora.
Il territorio “coperto” dell’acquedotto comprendeva: a nord la Torretta di via San Lazzaro, tutto il villaggio Cà Bianca; a sud casa nostra, via San Giacomo e via San Damiano; a est il Rio Mezzacqua fino alla Rocca, la famiglia Luzzati, via Mezzacqua e la piazza dei “Due Gabbiani”; a ovest i palazzi Mida, Dailey e Richy, via San Lazzaro.
In totale c’erano circa 200 utenti.
In via San Lazzaro, Umberto Rossi aveva un pezzetto di terreno dove c’erano due filari di peri, una pianta di amarene e un salice; vicino al salice c’era un pozzo e qui fu costruita una cabina di pompaggio, con a fianco una vasca ermetica a forma di prisma; nella cabina vennero infissi due tubi, uno da 3 pollici ed uno da 6 pollici, entrambi alla profondità di metri 25.
Una pompa sommersa, alla profondità di metri 18 - 20, aveva il compito di assorbire l’acqua e “versarla” nella vicina vasca ermetica.
Nella cabina di pompaggio furono installate 2 pompe a pistone, alimentate da due motori centrifughi di 2 cavalli ognuno, che avevano il compito di prelevare l’acqua dalla vasca ermetica e pomparla sulla collina, in un’altra vasca ermetica a forma cilindrica, posizionata su quattro pilastroni in cemento armato, costruita il 08/09/1964 da Umberto con Renato Gagliolo, la quale riforniva tutti gli utenti per caduta.
Le pompe erano azionate da corrente elettrica e comandate da un quadro a comandi a bagno d’olio.
Per tre anni tutta la manutenzione dell’intero impianto, tubazioni, pompe, letture - montaggio - sostituzione - pulizia dei contatori, consegna delle bollette, riparazione - sostituzione tubazioni, ecc. era effettuata da un solo operaio (Berto Vassallo), il quale era lo stesso che, da solo, gestiva e si occupava anche delle coltivazioni sui terreni dell’intera proprietà, mentre la parte contabile ed amministrativa era gestita prima dalla moglie Carla Preve e successivamente dalla segretaria Piera Laureri, in seguito sostituita da Rinangela Bologna.


Umberto e la moglie Carla Preve
Foto per gentile concessione Giusi Rossi

Periodicamente venivano emesse “bollette” di pagamento relative ai singoli consumi effettuati dagli utenti;
Una curiosità da rilevare è che tale acquedotto privato era in grado di soddisfare tutte le utenze, anche nei periodi di siccità che caratterizzarono il periodo degli anni ’70 – ’80, in cui il Comune dovette intervenire con autobotti e cisterne dislocate su varie parti del territorio comunale a causa della carenza idrica del proprio civico acquedotto;
Tra la fine degli anni ’80 ed inizio anni ’90, l’acquedotto privato cessò l’attività e la proprietà mantenne il pozzo e le tubazioni sui propri terreni, cedendo vasca e restante impianto al Comune, il quale le inglobò “ad anello” all’interno del sistema di condutture comunali.



    

Arriviamo alla seconda metà e fine degli anni ’60 del Novecento.
Il Piano Regolatore prevede l’assurda realizzazione di un “serpentone”, una strada principale che partendo dal porto in costruzione dovrebbe tagliare in diagonale la piana sino a raggiungere località Garibbo, con la costruzione di un nuovo ponte sul Torrente Merula, nel tratto a monte del Seminario di Santa Matilde.
Alcune grosse proprietà verrebbero divise in modo dannoso e, pertanto, chi ha la possibilità di intervenire cerca di anticipare i tempi e soprattutto di investitori che in poco tempo piomberanno a speculare.
E’ così che nascono degli interventi edilizi che non si curano delle previsioni urbanistiche, costruendo edifici con consistenze e posizioni che inducono a cambiare progressivamente la scellerata pianificazione urbanistica del “serpentone” dando origine a lotti più squadrati e ad una rete viaria più regolare, costituita da strade tra loro “ortogonali”.
Umberto si impossessa di alcuni estesi lotti e le sue costruzioni di palazzine vanno a determinare la formazione di due tratti di strade di importanza “centrale” nel territorio andorese: via San Lazzaro e via dei Mille, con le figure societarie dell’Impresa Edile a suo nome e con la “Società So.Co.Re.A.” (Società Costruzioni Residenziali Andora).
Si comincia dagli anni ’60 con via dei Mille, nel tratto dal torrente Merula a via Doria, dove nascono le palazzine “Selene”, “Arianna” (unitamente al fabbricato destinato alla S.I.P.), “Venere”, “Minerva”, “Diana”.


Negli anni ’70 si interviene in via San Lazzaro con i complessi residenziali “Bouganvillee”, “Residenza dei Sei Capi”, “Shopping Center” e successivamente “Mida”, “Dailley”, “Richy”, spostandosi nello stesso periodo nella zona dell’ex Campeggio Meerblick, a ridosso della via Aurelia con la costruzione del “Margherita A” e “Margherita B”.



Tra la fine degli anni ’70 ed inizio anni ’80, si dedica ad una attività nel campo delle cromature, operando nei dintorni di Chivasso, ma tornando presto a studiare interventi nel campo delle costruzioni edilizie, che troveranno sfogo nel decennio successivo degli anni ’90, in cui sarà impegnato a ridosso di via San Lazzaro con gli interventi del “Mimosa 1” e “Mimosa 2”, nonché in Costa Azzurra, principalmente a Mentone, dove recupererà stabili di pregio architettonico.
L’attività costruttiva andorese terminerà nel nuovo millennio, con un’operazione immobiliare controversa, che lo porterà a realizzare, fronte mare sulla via Aurelia, il “Madonnina”, che gli procurerà lunghi ed inutili strascichi nelle aule di tribunale, per contestazioni varie, con una conclusione assolutiva finale dopo i vari gradi di giudizio.
Si conclude così l’attività di un costruttore edile andorese, protrattasi per circa 60 anni.
Umberto Rossi, il “Geometra” che geometra non era, andorese eclettico capace di capitalizzare le proprietà contadine di famiglia, un costruttore edile del posto che ha contribuito alla trasformazione del territorio locale.
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Posizione palazzine costruite da Umberto Rossi
Foto aerea GoogleEarth

Con gli interventi di edificazione realizzati si formano e si consolidano alcuni tratti stradali:
  • via dei Mille, via Usodimare e via A. Doria, andando a definire dei tratti stradali sino ad allora inesistenti, in quanto le aree interessate erano esclusivamente campi coltivati, in parte palustri;
  • via San Lazzaro, in allora “strada di Noceto”, dall’attuale autolavaggio sino a via Clavesana, andando a modificare definitivamente la vecchia strada conosciuta come “stradda du beùn” (odierna via San Lazzaro da via Colombo a via Clavesana);
  • via San Damiano, andando a modificare definitivamente la vecchia strada conosciuta come “stradda da braia” (odierna via San Damiano da via Colombo alla via Aurelia);
In particolare, l’intervento edificatorio che diede origine al complesso residenziale “Bouganvillee” fu realizzato in un appezzamento che di fatto avrebbe troncato di netto il tracciato del “serpentone” stradale urbanisticamente previsto, rendendo di fatto inattuabile e non più logica una simile pianificazione stradale, riducendola ad un tracciamento più regolare ed omogeneo, secondo forme “rionali” quadrilatere più ricorrenti ed evitando un taglio netto in diagonale della piana verso mare.
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