DON ANGELO BIANCO
DON ANGELO BIANCO
(Anna e Famiglia Bianco)
(Foto e testi per gentile concessione Anna e Famiglia Bianco)
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Foto per gentile concessione Famiglia Bianco
"Vivendo in mezzo a loro, diventi l’infermiere, il consigliere, il giudice di pace, e perché no, l’allenatore della squadra".
"Sono un miracolo, un mistero dell'amore di Dio, grazie alle preghiere di tante persone sante, in particolare di mia Mamma".
Don Angelo Bianco
Nato il 26 ottobre 1943 ad Andora, nella diocesi di Albenga.
All’età di 10 anni decide di studiare in un collegio preseminario ed a 14 anni, entra nel Seminario Vescovile di Albenga.
Nel 1966 viene ordinato sacerdote, svolgendo il ruolo di viceparroco di Diano Marina fino al 1970.
Nel 1970 intraprende l’attività di missionario con la S.M.A. (Società delle Missioni Africane) in Costa d'Avorio (diocesi di Abengourou), presso i centri di Tanda e poi Bondoukou (a partire dal 1973).
Ha frequentato l'ISCR per un anno ad Abidjan.
Durante la sua permanenza missionaria, riceve l’affidamento di 86 villaggi, che visita con regolarità, imparando la lingua locale, dialogando con la popolazione e studiando l’idioma per darle dignità di lingua riconosciuta.
Nel 1978, intraprende la costruzione di un centro per la formazione dei catechisti, diventando un poliedrico artigiano, ricorrendo al calcio per coinvolgere i ragazzi.
Don Angelo (o meglio Padre Angelo) promuove l’alfabetizzazione degli adulti, l’educazione igienica, la formazione di cooperative di lavoro per la coltivazione del riso e per l’allevamento suino, al fine di garantire fonti lavorative per i giovani nella propria terra, imparando il rispetto per la dignità del lavoratore, nel contesto dei valori e principi cristiani.
La sua integrazione in mezzo alla sua gente lo porta ad essere considerato uno di loro, venendo riconosciuto con il nome in lingua locale Kouamè (“nato un sabato”, perché un sabato è sbarcato in Costa d’Avorio e, quindi, è nato per l’Africa) Boroni (“il bianco”, perché non si può cambiare il colore della propria pelle) Hèmirigòn (“se qualcuno mi fa del male, io confido il giudizio a Dio”).
All’età di 38 anni, muore a Bondoukou, in Costa d'Avorio, il 13 gennaio 1982, dove viene sepolto vicino alla chiesa.
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Estratto della prefazione scritta da don Edmondo Bianco e tratta dal libro “La ragazza metà bianca e metà nera” di Marino Muratore.
"Sono don Edmondo Bianco, figlio di Adele e di Giovanni fratello maggiore di don Angelo.
Ringrazio Marino per questa sua pubblicazione che ravviva la memoria dello zio Angelo a distanza di quarant’anni della sua prematura morte in Costa D’Avorio, aveva solo 38 anni, ma li ha spesi con una vitalità sorprendente.
Per me e i miei fratellini lo zio era lontano geograficamente ma presente nelle nostre preghiere e con le sue lettere ciclostilate, che inviava, in varie ricorrenze dell’anno, sempre accompagnate da un pensiero personale per ciascuna famiglia.
Quando veniva a casa, ogni tre anni, eravamo incantati dai suoi racconti e ricordo mia sorella Antonietta che gli diceva: “Quando sarò grande verrò con te”.
Antonietta è poi andata volontaria, per alcuni anni, in Costa d’Avorio con Giuliano, Mimmo, Monica e gli altri della CLMC, ma lo zio era già mancato.
Ricordo, in modo particolare, come abbiamo seguito la sua disavventura quando nel 1971 è precipitato dall’impalcatura di bambù nella costruzione della chiesa di Tanda.
Con quella caduta sarebbe morto se non fosse stato per il tempestivo intervento di un medico africano che, con poveri mezzi, lo ha operato asportando la milza spappolata per il duro impatto al suolo.
Da quel momento in avanti lo zio diceva che ogni giorno era un regalo.
Ci raccontava delle sue visite ai villaggi, della corale dei bambini e quella degli adulti nella parrocchia di S. Odile in Bondoukou.
Con papà e il nonno parlava dei progetti nel campo agricolo, della coltivazione del riso e dell’allevamento dei maiali messi su con l’amico Felix.
Spesso nei discorsi emergeva il problema dell’acqua potabile e la possibilità di scavare dei pozzi.
Non tralasciava di parlare della grave situazione sanitaria e dei tanti bambini che popolavano i villaggi.
Lo zio era uno sfegatato e anche bravo calciatore, non so per quale squadra tifasse, ma so che ha tirato su una squadra che ha preso parte a campionati di alto livello.
Una cosa che ci affascinava era il suo studio della lingua Kulango, grazie al suo impegno questa popolazione ha avuto la possibilità della scrittura con regole fonologiche e grammaticali.
Dalla ‘Olivetti’ si era fatto costruire una macchina da scrivere con caratteri speciali.
Noi bimbi eravamo curiosissimi di come si pronunciavano le parole ed eravamo sempre ad interrogarlo: “Come si dice questa parola, come si pronuncia quell’altra…”.
L’ultima volta che venne in Italia io avevo appena finito la scuola media e desideravo andare a lavorare chiudendo così con gli studi.
Ricordo, una sera di fine giugno, una animata discussione dello zio con mio papà.
Lo zio sosteneva che avrei dovuto proseguire gli studi mentre mio papà era determinato a lasciarmi libero di decidere.
Ho apprezzato entrambi gli atteggiamenti: da una parte lo zio che spronava il nipote a mettere a frutto le capacità intellettive e dall’altra il papà che incoraggiava il figlio alla responsabilità di dover scegliere liberamente per il domani.
Sono andato a lavorare in fabbrica per un paio di anni e poi sono entrato in seminario.
Allo zio ho ancora avuto il tempo di scrivere una lettera in cui lo informavo della mia decisione, ma non ho potuto raccontargli il mio percorso vocazionale dal vivo perché lui è mancato proprio quell’anno, poche settimane prima del suo rientro programmato in Italia.
Una cosa che mi affascinava era quando raccontava del centro ‘multifunzionale’ di ‘Botogonì’ che aveva tirato su come luogo di incontri, di preghiera, di ospitalità e culturale, lo immaginavo come i nostri oratori.
Durante gli anni della sua missione a Bondoukou lo zio ebbe anche la sorpresa della visita del suo papà, il nonno Mundin che si è recato in Africa ricco della sua esperienza contadina e non solo, perché era uomo dalle mille risorse, ricordo che, all’andata, nella valigia mise anche una zappa di quelle in uso ad Albenga, una ‘zappa larga’ e al ritorno nella valigia c’era un macete, all’epoca non c’erano tanti controlli all’aeroporto!
Tornato, il nonno, ci raccontava della vita nei villaggi, delle piste in terra battuta, degli animali visti e anche cacciati, della povertà della gente, ma soprattutto della dignità delle persone che, se pur povere di risorse, erano ricche di umanità, accoglienza e generosità.
Di una cosa il nonno andava orgoglioso del suo viaggio in Costa d’Avorio: aveva scavato un pozzo dando così acqua buona ad un villaggio.
Il nonno, uomo di grandissima intelligenza e cuore grande, aveva vissuto, con il figlio sacerdote, una esperienza che lo ha sorretto anche all’impatto con il dolore recato dalla notizia, quel 13 gennaio 1982: “don Angelo è morto”.
Lui e la nonna Angelica sono stati per tutti un esempio di Fede, sì, quella fede con la ‘F’ maiuscola come mi raccontava, ancora a distanza di anni, l’allora vescovo Mons. Alessandro Piazza che aveva dovuto, con alcuni padri SMA, portare la notizia della morte dello zio Angelo ai genitori e alla famiglia, mi diceva: “lungo il tragitto da Albenga ad Andora non trovavo le parole che avrei dovuto usare per accompagnare l’annuncio del tragico decesso, ma fu tua nonna a dare sollievo a me con la sua semplice, forte e coraggiosa remissione alla volontà di Dio: «E’ il Signore».
Una risposta che dice: ‘sia fatta la tua volontà, Signore!”
Conseguenza di questa fede e della certezza che nel Signore la morte non ci separa, è stata anche la decisione di lasciare che don Angelo fosse sepolto tra la sua gente: il popolo Kulango, dal quale era stato adottato con un nome nuovo ‘Kouamè Boronì’, proprio come nella storia che Marino racconta.
L’adozione non è un prendere ma una fusione, un incontrarsi e un perdersi nell’altro, ognuno, con grande rispetto vicendevole, porta la sua storia, riceve e dona.
A suggello di queste poche righe desidero consegnare ai lettori del libro la preghiera-poesia che è sgorgata dal cuore e dalla penna del nonno Mundin dopo la morte del figlio".
MERIGGIO AFRICANO
Accanto alla chiesa
un mango fronzuto
protegge una tomba.
I raggi filtrando
tra i rami dan vita
ad affreschi, figure, damaschi
che mutan sovente
man mano che il sole
s’abbassa a ponente.
Ogni ombra s’allunga
ogni passo si colma di bruma,
e sembra più piatta, più arsa,
più strana, l’immensa savana.
Il meriggio diventa tramonto
son nubi di fuoco
di mille colori
che van verso il cielo
tramonto africano,
misterioso, irreale
ogni giorno simile
nessun giorno uguale.
È l’ora dell’Avemaria
abbassi un istante le ciglia,
ti sale dal cuore la preghiera,
rifletti, ti scuoti
è già calata la sera.
Un’ombra color della notte
attraversa davanti alla chiesa.
È un Kulango che torna dal campo.
Pagano? Cristiano?
Non conta! Un uomo
per Angelo Bianco.
Va presso la tomba
depone un mazzetto di fiori
saluta, toccando il ritratto,
fa cenni che vogliono dire:
“da vivo m’hai tanto amato,
abbi pace, Mon Père, ti ringrazio”.
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LETTERE DI DON ANGELO
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FRATERNITÀ MATIN - pag. 9 - Mercoledì 20 gennaio 1982
BONDOUKOU
II saluto della parrocchia Santa Odile a padre Angelo Bianco
Mercoledì scorso, 13 gennaio, tutta la Diocesi di Abengourou e la Parrocchia di S. Odile di Bondoukou hanno pianto la partenza per la Casa del Padre Celeste del Rev. Padre Angelo Bianco, nato nel 1943, ordinato sacerdote nel 1966. Una partenza inattesa, una partenza dolorosa per i suoi genitori, i suoi numerosi amici, soprattutto il popolo Kulango dove il Padre si era veramente incarnato come il suo Divin Maestro, Gesù Cristo. Egli era proprio diventato uno di loro fra gli Africani che serviva con il suo zelo, parlando kulango come un nativo, di Tanda o di Bondoukou, religiosamente rispettoso dei costumi e delle tradizioni africane che egli integrava con intelligenza nel suo insegnamento catechistico. In lui noi abbiamo perduto un fratello, un amico, un apostolo entusiasta, paziente, con una fede tale da poter muovere le montagne. Alla Messa per il servizio funebre del 14 gennaio, non ho potuto evitare di gridare alla folla immensa, raccolta intorno al suo feretro: “Oggi è festa, è Natale, è Pasqua, è l'Ascensione!!!”.
Non era infatti il ritrovarsi meraviglioso di un uomo di fede con Colui che egli aveva amato e servito fino alla fine? Noi abbiamo avuto una grande perdita. Ma abbiamo anche guadagnato molto, noi abbiamo uno che intercede presso il Signore, Dio di potenza e di misericordia.
Padre Angelo Bianco lascia un grande vuoto nella immensa Parrocchia di Bondoukou con i suoi 75 villaggi, che egli cercava di visitare. Egli lascia dietro di se Padre Pfister di 71 anni, e l'abate Jules Kouakou Menzan, un anno di sacerdozio, che non possono la responsabilità spirituale di Bondoukou. Chi ci aiuterà?
Mons. Bruno Kouamè Vescovo di Abengourou
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S.M.A.
SOCIETÀ DELLE MISSIONI AFRICANE - Genova 13/02/1982
Carissimi,
giusto un mese fa il nostro Don Angelo è entrato nella gloria del Padre. Questa sera in Comunità sarà concelebrata una Messa di suffragio.
Secondo le nostre regole, Don Angelo ha tutti i suffragi cui ha diritto ogni padre della SMA che muore. Quindi 30 sante Messe sono celebrate dal distretto italiano e 9 Messe da ogni altra Provincia (Lione, Irlanda, Olanda, Strasburgo, U.S.A., Gran Bretagna, Canada, e Spagna).
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Andora Marina - Diano Marina – Tanda – Bondoukou paese natale, prima esperienza sacerdotale, primo soggiorno in terra africana, campo di piena attività apostolica: ecco un ponte spirituale che si è costruito lentamente, durante 16 anni e che ora, con la morte di P. Angelo Bianco, non deve crollare ...
Sì, Padre Angelo Bianco ci ha lasciato mercoledì 13 gennaio alle 6 del mattino, dopo aver lottato 48 ore contro la malattia che si è rivelata mortale.
La notizia della morte, in un batter d’occhio, si è estesa a tutta la nazione e la radio ne ha dato l'annuncio il giorno stesso ed il giornale della nazione, “Fraternité-Matin” ne ha pubblicato la foto. Otto milioni di persone hanno
saputo che P. Angelo, missionario europeo, era morto e veniva sepolto in terra ivoriana.
La parrocchia di Bondoukou e la diocesi di Abengourou hanno reagito all’africana, partecipando massivamente ai funerali. Il Vescovo, Mons. Kouamé Bruno, commosso e piangente, ha sostato mezz'ora in ginocchio davanti al feretro, prima di celebrare le esequie.
Il giorno della settima, il Pastore della Diocesi ha voluto esprimere la sua testimonianza affettuosa su “Fraternité-Matin” in questi termini: Sì, P. Angelo ci ha lasciati; i cristiani di Bondoukou hanno voluto che fosse sepolto accanto alla Chiesa, all’ombra di una palma. Il seme caduto in terra sta germogliando in vocazioni sacerdotali e religiose: questa è la logica del Vangelo e la speranza di tutti noi.
P. Eugenio Basso
ABIDJAN
Vi saluto tutti con tanto affetto. Ricordiamoci sovente nella preghiera.
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