SVILUPPO DEMOGRAFICO DAL 1200 AL 1600
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LO SVILUPPO DEMOGRAFICO DAL 1200 AL 1600 COGNOMI E FAMIGLIE DELLA VAL MERULA
(Sabrina Lunghi)
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RICOSTRUZIONE - RUDERI BORGO DI CASTELLO
Le case del Castello - Ricostruzione di Adriano Lunghi
per gentile concessione Federica Lunghi
per gentile concessione Federica Lunghi
Acquisita da Genova (12 giugno 1252), Andora e sottoposta ad una inchiesta sui redditi, svolta da Iacobo Bestagno, che la conclude e consegna il 7 novembre 1252.
Dal documento (2) appare evidente la vitalità di questa comunità, le cui rendite provenivano da 66 gruppi familiari, 25 dei quali legati ad un manso, cioè un appezzamento di terreno coltivabile in un anno da una famiglia di coloni che possedeva una coppia di buoi (3). I cognomi, o meglio gli identificativi di questi nuclei familiari sono i seguenti: Aroxii, Ariberti, Aucellus, Aicardino, Arnardus, Avunda, Axetus, Aiasco, Ardenzo, Audini, Bezochi, Borrelli, Blancardus, Balathe, Buscaríni, Berni, Bonazora, Baltheo, Barrachus, Cotabea, Cigiano, Ciolinus, Forzani, Fugatii, Fame, Gorreo, Gorreto, Gonfreo, Girardo, Ginesta, Iuxolii, Lanzii, Libaldi, Libustrii, Morenus, Maza, Mantelli, Molinarii, Oliverius, Perolus, Pisanus, Piva, Puteo, Pettigrossi, Rata, Ravani, Rialdus, Rossello, Rubaldi, Sandali, Territio, Ubaldus, Vermilia, Zerbino.
Alcuni possono riferirsi ad un luogo di provenienza (Aroxii = provenienti dalla Valle Arroscia, Pisanus = proveniente da Pisa), altri ad un mestiere svolto (Molinarii, Oliverius), altri ancora ad una caratteristica fisica (Rossello, Vermilia, Pettigrossi) o caratteriale (Axetus), altri sono quasi poetici (Gínesta, Aucellus), altri molto realistici (Fame). Ma i più interessanti sono quelli che ancora oggi esistono nella nostra vallata:
1. Aicardino richiama il cognome Aicardi, oggi molto diffuso a Stellanello;
2. Gonfreo, mutando la g iniziale in c, richiama la località Confredi, nella zona di S. Giovanni;
3. i Berni possono aver imposto il proprio nome alla località Case Berneri, nella frazione di Rollo;
4. Morenus è facilmente identificabile con il cognome moderno Moreno;
5. il nome proprio Durantis può essere accostato al cognome Durante, presente a Stellanello.
2. Gonfreo, mutando la g iniziale in c, richiama la località Confredi, nella zona di S. Giovanni;
3. i Berni possono aver imposto il proprio nome alla località Case Berneri, nella frazione di Rollo;
4. Morenus è facilmente identificabile con il cognome moderno Moreno;
5. il nome proprio Durantis può essere accostato al cognome Durante, presente a Stellanello.
Sono poi citati:
6. il maixo de domo, che si può forse collegare con la località Duomo sulla destra del Merula, in frazione Molino Nuovo;
7. il maixo de costa, piuttosto generico, che può richiamare la località Costa maggiore, ubicata nella frazione Conna, oppure il toponimo Costa dei Negri nella frazione di S. Pietro, oppure la località Costa d’Agosti nella frazione S. Bartolomeo;
8. filius rollandi de ferraria, quest’ultima riferita con ogni probabilità alla località attualmente detta Ferraia in frazione San Giovanni;
9. il toponimo braia, riferito a terreni coltivati a vite, che il Sacro e vago Giardinello cita all’interno della Parrocchia della SS. Trinità di Rollo. È possibile che esso derivi dal longobardo *braida, podere, che doveva significare in origine “pianura” (cfr. ted. Breit = ampio, spazioso, esteso) e passò ad indicare nei documenti notarili altomedievali il “podere” (4).
7. il maixo de costa, piuttosto generico, che può richiamare la località Costa maggiore, ubicata nella frazione Conna, oppure il toponimo Costa dei Negri nella frazione di S. Pietro, oppure la località Costa d’Agosti nella frazione S. Bartolomeo;
8. filius rollandi de ferraria, quest’ultima riferita con ogni probabilità alla località attualmente detta Ferraia in frazione San Giovanni;
9. il toponimo braia, riferito a terreni coltivati a vite, che il Sacro e vago Giardinello cita all’interno della Parrocchia della SS. Trinità di Rollo. È possibile che esso derivi dal longobardo *braida, podere, che doveva significare in origine “pianura” (cfr. ted. Breit = ampio, spazioso, esteso) e passò ad indicare nei documenti notarili altomedievali il “podere” (4).
Ma di cosa vivevano questi uomini e queste donne?
Loro sicuramente si accontentavano di cibi frugali, ma erano in grado di produrre molto, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo.
Non si spiegherebbe altrimenti la presenza di un mercato così importante, come quello concesso dai Genovesi il primo d’agosto d’ogni anno.
Ma quali merci erano presenti sui suoi banchi?
Innanzi tutto i prodotti dell’agricoltura: frumento, orzo, farro, ridotti a farina e impiegati per la produzione di pane; vino, pesci, formaggio e una grande varietà di carni: maiale, bue, montone, castrato, capra, capretto, agnello.
Parti di questi prodotti venivano versati come tributi ai marchesi, che si aggiungevano quindi ad altre imposizioni di diversa natura, come la conditio (tributo), i comparía (tasse imposte sulla terra), i banda (ordine emesso solennemente in virtù d’un potere pubblico, prescrivente o interdicente un atto, determinato su pena d’una ammenda fissa), i praecepta (ordine) (5).
L’esistenza di un discreto mercato è confermata dalle voci riguardanti i pedaggi sugli animali che transitavano per la valle carichi di merce (muli, ronzini, maiali).
Veniva poi applicato un diritto di fuoco, un diritto di attracco per le imbarcazioni che giungevano alla ripa (riva) del mare o del fiume. Anche l’uso del forno e del mulino era soggetto ad una tassa, entrambi infatti erano posseduti dai feudatari e costituivano quindi una delle loro principali fonti di reddito.
Va poi sottolineata la presenza di una tassa particolare, la cabella murte, cioè del mirto, un’erba preziosa usata in conceria e in chiesa nelle principali solennità dell’anno (6).
L’importanza dell'inchiesta sui redditi del 1252 è data anche dalla sua unicità e dalla sua antichità. Infatti occorre attendere circa tre secoli per poterne consultare un’altra simile, quando cioè Genova impone un nuovo censimento di natura economica che prende il nome di caratata. Ma che cos’era una caratata? Volendo paragonarla a qualcosa di attuale, possiamo accostarla ad un registro catastale in cui venivano registrati i terreni privati e comunali.
Ciascun terreno era una sorta di parcella, cioè la piccola parte di un territorio più vasto, che veniva chiamata carato.
Dunque l’insieme delle parcelle, cioè di tutti i terreni, era la caratata.
Le caratate riguardavano solo i comuni sotto il dominio diretto della Repubblica, come appunto Andora; essi erano soggetti ad una tassa annuale, stabilita in base al valore dei terreni dichiarato nella caratata.
La creazione delle caratate quasi certamente deve risalire al XII secolo, quando cioè Genova aveva esteso il suo dominio da Capo Corvo a Monaco e oltre i Giovi e aveva completato anche la sua espansione coloniale.
Occorreva quindi un censimento delle rendite dei vari comuni liguri, per avere una chiara idea delle nuove entrate nel comune a seguito delle recenti acquisizioni (7).
La caratata dei 1531 (8) consta di quarantadue fogli, che misurano cm 30 x cm 22, sono scritti da ambo le parti e non sono numerati.
Sulla prima facciata con frontespizio, si riporta l’indicazione che il registro costituisce una nuova caratata eseguita da due commissari speciali incaricati dalla Repubblica e da tre sindaci, scelti per rappresentare evidentemente gli interessi dei comuni.
Riguarda, come si è già detto, i comuni di dominio diretto, mancano quindi quelli convenzionati o completamente esenti da contribuzioni.
Essa non comprende neppure Genova, i cui abitanti furono sottoposti in quell’anno a censimento, ma con indirizzo diverso (9).
Il documento riporta una visione d’insieme, la popolazione infatti è considerata nella sua globalità, non essendo distinta nelle varie frazioni.
Veniamo dunque a sapere che in quell’anno vivevano ad Andora 2500 persone, fra uomini, donne e fanciulli, suddivisi in 500 famiglie, dedite perlopiù all'agricoltura.
Ciò non deve stupire, perché come osserva il Gorrini, nelle zone marittime, gli uomini che esercitavano navigazione e pesca non erano più del 20%, a parte alcuni comuni con porti importanti quali Savona, Oneglia, di cui non si fa cenno nella caratata (Savona e Oneglia non rientravano nella condizione di dominio diretto, e quindi non sono menzionate, in questa caratata)...
E questa limitata popolazione marinara esercitava il piccolo cabotaggio, cioè trasporto marittimo costiero e pesca (10).
La caratata accenna anche alla presenza di mercadanti o mercanti, cioè detentori di capitali nella veste di mediatori; infatti a molti comuni occorrevano importazioni di generi anche di prima necessità e i mercanti rispondevano appunto a tale fabbisogno (11).
Viene poi citata una prigione di turchi e di mori, certamente un retaggio delle invasioni da parte dei pirati barbareschi.
Ancora qualche riflessione circa la produzione agricola e la pastorizia: la caratata testimonia una raccolta di frumento, di altri cereali non specificati (possiamo pensare all’orzo, al farro, cioè a quella produzione presente nel documento del 1252 succitato) e di fichi per quattro mesi all’anno; è citata una produzione di vino, e la presenza di venticinque bovini e cinquecento capi di bestiame di taglia minore.
Un quadro dunque piuttosto desolante, rispetto a quello ben più vitale e dettagliato riportato nel documento del 1252, nel quale si aveva la sensazione dell’'esistenza di un vivace mercato di scambio, che certo non risulta dalla caratata del 1531.
Infine uno sguardo al bilancio; l’unica entrata qui annoverata è costituita dalla cabella dei vini per circa settanta lire genovesi.
Le uscite sono invece rappresentate da l’avaria ordinaria (800 lire), più le varie spese per il mantenimento del podestà, del guardiano di Capo Mele, degli scrivani, del maestro di scuola, del sindico dello maleficio, unitamente alla cabella de embrixi (tassa sulla fabbricazione di laterizi), per un totale di circa 560 lire.
Anche a proposito dei tributi è possibile riscontrare rispetto al 1252 una semplificazione delle imposte, ma anche una modificazione del sistema contributivo, se è lecito denominare in tal modo un apparato fiscale ancora in embrione.
Sembra cioè che un nuovo spirito di comunità, intesa come nucleo con una propria identità, traspaia anche nella tipologia dei tributi.
Infatti oltre all’avaria ordinaria corrisposta a Genova, la popolazione sosteneva anche una serie di spese per la retribuzione dei funzionari che svolgevano anche un servizio per la comunità: il podestà, il maestro di scuola, il sindaco dello maleficio, gli scrivani, la guardia di Capo Mele.
In tal modo, parte dei contributi andavano direttamente a beneficio dei contribuenti.
Simile alla caratata del 1531 è un censimento di fuochi delle Due Riviere presente negli Annali della Repubblica di Genova di A. Giustiniani (12), che risalgono al biennio 1535-7.
I fuochi erano 517 (13), cioè un dato che si accorda a quello riportato nel manoscritto del 1531.
Qui di seguito si riporta il numero dei fuochi suddiviso per località.
Manca però nel censimento del 1535-37 il numero degli abitanti. Possiamo stimare tuttavia che vi fossero circa 2500/2600 persone, considerando che allora un nucleo familiare era composto da 4/5 elementi.
Le notizie sullo stato economico della valle di Andora sono scarsissime; l’autore si limita a dire che è abbondante di vino, olio ed altri frutti.
In queste pagine viene dunque menzionato l’olio, per la prima volta: 300 anni prima (1252) non compariva affatto.
Questo si spiega con la tarda comparsa dell’ulivo coltivato in forma intensiva, soprattutto nelle valli del Ponente, che a partire dal ‘500 diventeranno le principali esportatrici di olio.
Ciò non significa che nel Medioevo l’ulivo non fosse già presente nelle nostre valli, ma esso non era ancora stato sfruttato in maniera intensiva, come accadrà invece in seguito.
Un’analisi demografica effettuata a circa 70 anni di distanza da quella riportata da Giustiniani è contenuta in un manoscritto del 1607 (14), e risponde ad una precisa richiesta d’indagine, inoltrata da Genova al podestà locale.
Il contenuto di questo documento ci permette di conoscere il numero dei fuochi (561) e degli abitanti (2391) di ogni località, ed inoltre - dato veramente eccezionale – il nome e cognome di ogni capofamiglia.
In tal modo è possibile rintracciare i cognomi tipici di ogni frazione e fare confronti con la situazione odierna.
La seguente tabella e esplicativa in tal senso.
Diciassette anni più tardi vengono compilate le pagine del Sacro e vago Giardinello (12), un succinto riepilogo - come recita il frontespizio dell’opera -, di dati riguardanti le chiese della diocesi albenganese, con qualche cenno al numero dei fuochi e degli abitanti di ciascuna parrocchia. In quell’anno facevano parte della comunità andorese 2550 abitanti, suddivisi in 556 fuochi.
Risale al 1629 un censimento (16) che ci dice che ad Andora vi erano 520 fuochi (17) per un totale di 2185 abitanti. Scarne sono le informazioni riguardanti la valle, che viene definita abbondante di vino, olio, et altri frutti.
In compenso è riportato un elenco dettagliato delle tasse pagate allora dagli Andoriani, per un totale di circa 1800 lire genovesi.
I documenti appena presi in considerazione, se messi a confronto fra loro, offrono un’analisi dell’andamento demografico della valle del Merula nell’arco di circa un secolo (l’indagine sui redditi del 1252 è stata tralasciata, perché non si presta ad essere inserita in tale raffronto).
I dati contenuti nella prima tabella apparentemente riflettono due situazioni non parallele; da una parte i fuochi appaiono in costante aumento dal 1531 al 1607, passando da 500 a 561, per poi diminuire fra il 1607 e il 1629, scendendo a quota 520.
Invece gli abitanti nel primo lasso di tempo (1531-1607) calano da 2500 a 2391, per poi salire bruscamente a 2550 nel 1624 e ridiscendere repentinamente a quota 2185 cinque anni più tardi (1629). Si vedano, per maggiore chiarezza, anche i due grafici allegati.
I numeri, nel complesso, presentano in realtà un trend negativo: la popolazione infatti è in calo, anche se cresce il numero delle famiglie.
Le due cose non sono in contraddizione, perché queste ultime vedono ridotto il numero dei propri componenti da 5 a 4,2 nell’arco di circa un secolo.
In pratica si mettevano al mondo meno figli o forse si moriva di più.
Le ragioni furono molteplici: le incursioni barbaresche, riprese a partire dalla metà del ‘500; alcune violente epidemie; i ricorrenti impaludamentii del Merula.
A tale proposito si ricordi anche la testimonianza di M. Maglione (18), il quale riferisce che “uno spaventoso temporale desolò la vallata, mutò il corso del torrente Meira che dalla sinistra portò a destra il proprio letto e lasciò dove prima scorreva, stagni paludosi le cui acque produssero febbri intermittenti.
Fu allora che la gente del Castello, dei Previ, di Mezzacqua, della Marina, fuggi”.
Il fatto è confermato da una memoria rinvenuta nell’Archivio Comunale che narra: “verso il XV-XVI secolo non lasciò di disertare totalmente il Castello ove ogni minimo fiato di mare portava miasmi pestilenti e tuttavia li porta, in guisa che meno i pochi abitanti che vi. sono assueti del resto chiunque voglia là soggiornare al dì d’oggi va soggetto a febbri intermittenti”.
Tutte queste cause ridussero il numero degli Andoriani e li fecero migrare dal nucleo del Castello (ridotto ad una ventina di famiglie all’inizio del ‘500) a Laigueglia, Rollo, Conna, Duomo, S. Bartolomeo, solo per citare le frazioni più popolate.
In pratica dove nel ‘200 vi erano solo pochi ed isolati mansi, nei tre secoli successivi sorse la nuova Andoria.
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- Il presente testo è tratto dalla tesi di laurea “Insediamenti medievali nella Valle del Merula: esame tipologico" di Sabrina Lunghi - Anno Accademico 1995/1996, rel. Prof. C. Varaldo.
- 2 Liber Iurium Reipublicae Genuensis, Historiae Patriae Monumenta, Torino 1854, VIII, 1, col. 1169, n. 849.
- 3 N. Calvini, Nuovo Glossario Medievale Ligure, Genova 1984, sub voce MANSUS.
- 4 Sacro e vago Giardinello, e succinto Repilogo Delle Raggioni delle Chiese e Diocesi d’A1benga; In tre tomi diviso, cominciato da Pier Francesco Costa vescovo d’Albenga nel 1624 del canonico Ambrogio Paneri, vol. II, Archivio dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, sez. di Albenga, fotocopia da manoscritto, p. 372 e G. Pertracco Sicardi - R. CAPRINI, Toponomastica storica della Liguria, Genova 1981, p. 99.
- 5 Confronta Ch. Du Canga, Glossarium Mediae et Infimae latinitatis, II, Bologna e ].F. NIERMEYER, Mediae Latinitatis Lexicon Minus, Leiden 1976.
- 6 G. Fedozzi, La Valle Steria nei secoli, Imperia 1988, pp. 128 e 159.
- 7 G. GORRINI, La popolazione dello stato ligure nel 1531 sotto l’aspetto statistico e sociale, Roma 1931, pp. 4-5.
- 8 MS 797, in A.S.G., sez. Manoscritti.
- 9 Gorrini 1931, p. 6_
- 10 Gorrini 1931, p. 15.
- 11 Gorrini 1931, p. 17.
- 12 A. GIUSTINIANI, Annali della Repubblica di Genova, I, Genova 1854, p. 767.
- 15 A cui vanno aggiunti i 200 fuochi di Stellanello e i 25 fuochi di Testico.
- 14 MS 600, A.S.G., Sala Senarega.
- 15 Sacro e vago Giardinello... vol. II, A.1.1.S.1., sez. Albenga.
- 16 MS 218, A.S.G., Sez. Manoscritti.
- 17 Nel Censimento è inserita anche Testico con 29 fuochi e 108 abitanti.
- 18 M. Maglione, Cenni Storici sulla vallata e sul castello di Andora, Albenga 1895, pp. 27-28.
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BIBLIOGRAFIA
- N. CALVINI, Nuovo Glossario Medievale Ligure, Genova 1984.
- Ch. DU CANGE, Glossarium. Mediae et Infimae Latinitatis, II, Bologna.
- G. FEDOZZI, La Valle Steria nei secoli, Imperia 1988.
- SACRO E VAGO GIARDINELLO e succinto Repilogo Delle Raggioni delle Chiese e Diocesi d'Albenga In tre tomi diviso, cominciato da Pier Francesco costa vescovo di Albenga nel 1624 del canonico Ambrogio Paneri, vol. II, Archivio dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, sez. di Albenga, fotocopia da manoscritto.
- A. GIUSTINIANI, Annali della Repubblica di Genova, I, Genova 1854.
- G. GORRINI, La popolazione dello stato ligure nel 1531 sotto l’aspetto statistico e sociale, Roma 1951.
- Liber Iurium Reipublicae Genuensis, Historiae Patriae Munumenta, VIII, 1-2, Torino 1854.
- M. MAGLIONE, Cenni storici sulla vallata e sul Castello di Andora, Albenga 1895.
- MS 218: ASG, Sala Senarega, n. 218.
- MS 600: ASG, Sala Senarega, Filza 600.
- J. E NIERMEYER, Mediae Latinitatis Lexicon Minus, Leiden 1976.
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A proposito dei cognomi andoresi, c’è una pagina interessante, tratta dal manoscritto inedito di un anonimo laiguegliese (1875) che parla proprio di Andora e del Castello.
Trattasi delle Memorie su Laigueglia per un povero derelitto vecchio dello stesso paese (pp. 45 e segg):
«Terra antichissima fra le liguri è Andora. Il Serra nella sua “Storia” vuole ch’essa, assieme a diversi altri paesi dell’antica Liguria, tragga origini da un’antica colonia di Focesi, ivi venuti verso l’anno 735 avanti l’era volgare, cioè pochi anni dopo la fondazione di Roma.
Il paese chiamato Andora e che diede poscia il nome a tutta la valle, era in quella collina ove sorse in seguito il Castello feudale.
Fu terra considerevole sotto i Romani, come dimostrano gli avanzi di una bella fontana in pietre tagliate e l’antichissimo ponte sulla Merula.
Nel Medio Evo fu feudo dei marchesi di Clavesana, ma poi decadde e fu ridotta nel più miserrimo sito, anzi la rovinarono affatto.
Quindi si formarono le diverse Parrocchie, borgate e ville e di Andora parlarono molti storici genovesi e cronisti nostrani, come il Sig. G. Rossi di Ventimiglia.
Nel 1321 feroci guerre fra Guelfi e Ghibellini dilaniarono il paese e vi morì il Vescovo di Albenga Emmanuele Spinola che era caporione di parte ghibellina e che, dimentico del suo santo ministero, avea deposto le sacre infule ed il pastorale ed indossate le divise del soldato disperatamente pugnava contro il borgo di Castello che era dipartito guelfo.
Poi il luogo fu travagliato da orribili pestilenze e da fiere altre morie.
Quella del 1528 la desolo del tutto, ma anche prima, quella del 1348 (di cui parlano Boccaccio e Villani) e questa cosa mi veniva accertata da egregi soggetti, personaggi assai colti ed eruditi e nella scienza delle nostrali antichità assai versati e delle cose patrie assai dotti ed esperti, conoscitori, cioè del fu Sign. Giacomo Tagliaferro, del fu Sign. Notaio Paolo Cavassa e dal fu mio Padre medico Andrea Badarò.
Ci fu uno spopolamento.
Il volgo che vede grosso e strambo, che travede, travisa e travolge le cose, impressionato dalla truce morte del Vescovo (rimasto sotto il cavallo ferito, fu raggiunto e fatto a pezzi) fabbricò col tempo su quell’argomento uno strano romanzo, un’assurda stramberia, una goffa favola, creduta ancora ai dì nostri da qualche melenso, cioè che quello spopolamento degli Andoresi fu l’effetto di un anatema, scagliato dal Papa su quel paese.
Ma lo spopolamento seguì perché quello sventurato paese fu travagliato dalla guerra e dalla pestilenza.
Poi ci fu un terzo flagello: il fiume trascurato per le guerre ristagnò e formò paludi.
Le quali cose produssero perniciosi miasmi, deleterie esalazioni ed effluvii pestilenziali e vi introdussero la così detta malaria, che tanto affliggeva anticamente anche Albenga.
Segui una grande spopolazione e le persone che restarono furono come condannate ad un lento martirio.
Alcuni andarono a rifugiarsi nel non molto lontano Castello di Diano, ma i più valicarono l’intermedio colle e vennero ad unirsi ai pescatori ed ai Catalani e insieme fondarono Laigueglia.
Basterebbe a provarlo il vedere ivi molti cognomi che si trovavano anticamente in Andora, come Maglione, Gaggino, Galleano, Guardone, Garassino, Cavassa ecc.
È pressoché certo che furono quelli emigranti di Andora che portarono quei cognomi in Laigueglia».
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RICOSTRUZIONE - BORGO DI CASTELLO
Le case del Castello - Ricostruzione di Adriano Lunghi
per gentile concessione Federica Lunghi
per gentile concessione Federica Lunghi