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ECCIDIO DI TESTICO - Andora nel tempo

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ECCIDIO DI TESTICO

STORIA E DOCUMENTI > STORIA ANDORESE
L'ECCIDIO DI TESTICO
(Prof. Riccardo Aicardi)

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15 APRILE 1945: L'ECCIDIO DI TESTICO

La tragedia per il piccolo comune di Testico, paese a cavallo tra la valle Merula e la valle Lerrone, si consuma tutta il mattino della seconda domenica di passione del 1945.
Il quindici di aprile, a poco più di una settimana dalla Liberazione e a guerra di fatto finita.
I segni della disfatta nazifascista sono infatti ormai evidenti in tutta l’area e l’arrivo degli alleati e nell’aria come i segni della primavera.
Testico ha una popolazione esclusivamente dedita all’agricoltura e la maggior parte dei suoi uomini sono ancora lontani, sparsi nei vari fronti dove la guerra li ha portati.
Diversi i dispersi, di cui non si hanno notizie da molto tempo.
Qualcuno è stato da poco liberato dai campi di prigionia, ma ancora mesi devono trascorrere prima che ritorni a casa.
In paese molte donne, ragazzi, anziani e qualche giovane che si nasconde, nei famosi “pozzi” per sottrarsi alla leva o al lavoro forzato.
Il clima è quello di una ennesima domenica di guerra, ma con qualche speranza in più.
I partigiani sono in movimento nelle valli attorno.
Quel giorno un gruppo è stanziato nel “Cian Bellotti” e intorno alla frazione di S. Maria di Stellanello; un altro, forse, vicino a S. Damiano.
Le strade ed i sentieri che collegano Testico alle sue frazioni, Ginestro e Poggio Bottaro e alla valle di Cesio, sono libere.
La popolazione del paese è tranquillizzata dall’assenza di fascisti e Tedeschi che da qualche tempo non si fanno vedere.
Nei giorni precedenti non ci sono stati avvenimenti particolari da far temere o presagire un loro ritorno e meno ancora una rappresaglia.
E’ domenica mattina presto. Molti abitanti di Testico sono ancora a letto, per qualche ora di riposo in più, altri si alzano e si preparano per la Messa.  
Verso le sei, però, due colonne di Tedeschi muovono da Vellego e da Cesio.
Quest’ultima è comandata da un maresciallo, conosciuto con il soprannome di Mayrling.
Non è chiaro quanti soldati comprendessero le due squadre, di certo si muovono in sincrono ed hanno un obiettivo comune.
Intorno alle sette i Tedeschi sono a Ginestro (frazione di Testico ma assai lontana dal capoluogo).
Circondano le case e le perquisiscono una per una. Procedono così ad un rastrellamento e alla cattura non solo di uomini e ma anche di donne.
Qualcuno riesce a fuggire qualcuno si nasconde, qualcuno non viene catturato. Le persone che vengono prese, una ventina, sono immediatamente legate con corde da basto prese dai soldati nelle stalle della piccola frazione.
I prigionieri vengo poi radunati davanti alla chiesa, incolonnati e quindi, senza alcuna spiegazione, avviati verso Testico.

“… ci hanno preso in casa mentre dormivamo ...” - Iolanda Zerbone

E’ probabile che i prigionieri, dato il contesto degli avvenimenti e alcune precedenti esperienze, pensassero di essere condotti in qualche luogo non lontano per fare lavori di fatica per conto dei Tedeschi.
Non sarà così.

“... li avevano già presi altre volte. Per farsi accompagnare o portare della roba, poi li lasciavano andare.” - Costantino Danio

La colonna si mette dunque in marcia per Testico e percorre il sentiero, che ora è diventato strada, che collega le due località. Costantino Vairo, allora tra i 14 e i 15 anni, sta pascolando le sue mucche quando vede la colonna avanzare con i prigionieri legati.
Subito capisce quello che è accaduto, abbandona allora le bestie e corre in paese per dare l’allarme.

“… subito andai verso il paese, avvertii quelli che incontravo e poi mi diressi verso la chiesa dove si celebrava la Messa …” - Costantino Vairo

In paese trova la maggior parte degli abitanti in chiesa e lì entra per avvertirli di mettersi in salvo.
Ma forse la necessità di nascondersi ha rallentato la sua marcia o forse increduli i paesani perdono qualche minuto di troppo prima di prendere una decisione e così arrivano i Tedeschi.
Sono circa le otto.
La prima vittima è Bruno Angelo, che stava innestando un albero di castagno in un podere sotto la chiesa, viene individuato e ucciso a raffiche di mitra.
Non c’è alcun evidente motivo di questa uccisione.
Forse i Tedeschi temevano che potesse allertare i suoi compaesani o forse vogliono dare un chiaro segnale della loro volontà di strage.
Subito una parte dei militari si schiera davanti alla chiesa, gli altri entrano e minacciano con le armi i presenti.

“Avevo 12 anni. Quel giorno ero a messa con mio padre (Angelo Costantino Danio) Sono entrati i Tedeschi in chiesa. Ricordo le urla ed i pianti ... la maggior parte, compreso mio padre, furono presi, portati verso la frazione Ginestro e poi uccisi.” - Costantino Danio

In chiesa vengono catturati diversi uomini tra cui lo stesso Costantino Vairo.
Il parroco, Don Mantello, ed i chierichetti, più reattivi degli altri, fuggono sul campanile e poi si rifugiano nel sottotetto della chiesa, da dove possono sentire ma non vedere ciò che succede intorno.

“... facevo il chierichetto… siamo andati nel campanile con il prete e ci siamo salvati.” - Costantino Danio

“All’epoca avevo 28 anni. Quel giorno mi trovavo alla Santa Messa con mio fratello (Giovanni Bruno). Sono arrivati i Tedeschi e ci hanno presi …” - Irene Bruno

Tutti i prigionieri vengono concentrati e fatti allineare lungo il muro che circonda la piazza della chiesa dalla parte verso la valle Lerrone.
Dietro di loro, sotto il muro, c’è una piccola strada che porta ad un gruppo di case e a qualche fienile.
Gli ordini sono di tenere i civili catturati sotto sorveglianza. Forse rimane un solo guardiano, così riferiscono certe fonti, armato di mitra.
Gli altri setacciano il paese agli ordini dei loro comandanti.

“... chi li comandava… dicevano che era un dottore. ma lo sarà stato un dottore? Erano tutti vestiti da Tedeschi ...” - Marta Zerbone

“Qua i Partigiani avevano preso un dottore, dicevano che era un dottore. Un SS, che era austriaco, mi sembra, lo tenevano prigioniero e questo qua diceva che era un dottore. Invece era una spia. Poi è scappato dopo tre o quattro mesi, e quando hanno fatto la rappresaglia c’era lui. Era lui che guidava questo gruppo. Come sapevano i Tedeschi frazione lì … e tutti quei posti lì ... Si pensa ...  sono venuti qui a regolare i conti ... han detto tanto qui finisce tutto … e ce ne andiamo.” - Costantino Danio

Il rastrellamento quindi non si ferma.
Qui si vede la volontà dei Tedeschi di continuare fino a radunare un numero notevole di persone catturate e si intuisce che la strage avrebbe avuto forse proporzioni più vaste se l’azione di ricerca dei Tedeschi non fosse stata interrotta dall’attacco dei partigiani e ancor di più dalla paura di uno scontro diretto con gli uomini della Resistenza.

“… sono venuti apposta ... dovevano prenderne duecento … dovevano andare a San Damiano e a Stellanello. Questione che a San Damiano, su quel montrucco là avevano fatto la postazione partigiana. C’era la mitraglia. E’ arrivata una raffica prima del paese. Si sono girati indietro.” - Vittorio Bruno

I Tedeschi, infatti, lasciati gli ostaggi sotto sorveglianza, continuano la loro operazione nel paese di Testico ed in frazione Poggio Bottaro.

“… c’era anche mio zio (Pietro Merello) fratello di mio padre. Quel giorno era in casa. Lo hanno preso e insieme agli altri lo hanno ucciso.” - Pietro Merello

“All’epoca avevo quattro anni. Abitavamo con la mia famiglia vicino alla chiesa. Mia madre mi ha raccontato che papà (Giacinto Ferrua) quel giorno si trovava in casa. Avvisato da un parente che erano arrivati i Tedeschi, si è nascosto in soffitta. Ha sentito alcuni spari, poi più nulla. Si è affacciato alla finestra per veder cosa stava succedendo. Un tedesco lo ha visto.  Subito hanno circondato la casa, lo hanno fatto scendere … Aveva 36 anni.” - Giovanni Ferrua

“… Giacinto aveva il bambino in braccio. I Tedeschi ce l’hanno fatto mettere in casa. Lo hanno preso dalle sue braccia e l’hanno messo giù e l’hanno fatto partire con noi … nessuno se l’aspettava quel momento lì che arrivassero… poi tante volte erano già venuti. Era mica la prima volta … si vede che quella mattina lì erano decisi ehh …” - Marta Zerbone

“Parte l’hanno presi a letto e parte l’hanno presi in chiesa” - Marinin Aicardi

Dalla piazza della chiesa intanto, mentre alcuni colpi vengono sparati dai partigiani stanziati a Santa Maria verso i Tedeschi che si muovono in paese, qualcuno riesce a fuggire.

“Sono andato a chiamare la gente in chiesa. Poi sono usciti tutti e io … m’hanno preso. Dopo cinque minuti si è sentito sparare di là (indica verso S. Maria) … c’era uno e lui si è nascosto. Io ho saltato di là (il muretto) e mi sono nascosto in quella casa là. Di là ho visto tutte le gente che passavano, che venivano da Poggio Bottaro e che venivano su. Gli altri erano più vecchi e hanno fatto il giro. Io sono saltato di là e infatti di là mi hanno ancora sparato un colpo di rivoltella ma non mi hanno preso. Gli altri non si sono mossi. Non hanno avuto il coraggio. Chi ha trovato il coraggio siamo stati io, bonanima de Riccà, Aicardi, e buonanima di Vairo di Poggio Bottaro. Loro sono arrivati un po’ dopo di me.” - Costantino Vairo

Sono ormai le nove quando i partigiani, avvertiti dei fatti che stavano accadendo, cominciarono a sparare verso i Tedeschi nel paese.
Il soldato di guardia ai prigionieri colto di sorpresa si rifugia nell’oratorio di fronte alla chiesa.
Nel momento dell’attacco Costantino Vairo, il ragazzo che aveva dato l’allarme, saltando dal muretto fugge nella campagna sottostante la chiesa.
Sul suo esempio ma con maggior lentezza anche Giobatta Vairo e Riccardo Aicardi tentano la fuga e si rifugiano in un fienile non molto distante.
Su tutti i fuggitivi, i Tedeschi di ritorno verso la chiesa, sparano ma senza colpirli.
Nello stesso tempo, l’attenzione dei soldati si sposta sull’osteria del paese.
Qui vengono catturati tre contadini di Torria ed il titolare Clemente Merello.

“… di qua c’era la mitraglia dei Tedeschi che sparava. Da questa finestra. Hanno piazzato la mitraglia … quelli di Torria li hanno presi qua. In questa cucina qua … erano lì che travasavano l’olio …” - Marinin Aicardi

Secondo questa testimonianza, dunque, i Tedeschi rispondono al fuoco da una postazione improvvisata dentro l’osteria e sparano nella direzione di Cian Bellotti.
Poi lasciano il locale per tornare verso la chiesa.
Uno dei militari chiede del cibo all’oste catturato, questi rimasto solo con lui, ne approfitta e, dopo avere offerto un panino al soldato, salta dalla finestra e, attraverso la sua vigna che si trova sotto la cucina dell’edificio si dilegua.
Il tedesco mangia ma non spara.
Lo stesso tedesco, uscendo per ultimo dall’osteria, incontra Giobatta Vairo che si era nascosto in cantina per tutto il tempo dell’azione e degli spari.
Ora, convinto di essere ormai solo e fuori pericolo, è uscito e cerca di mettersi in salvo.
Il tedesco lo vede, si avvicina ma non reagisce.
Anzi indica un sentiero e dice:
Via, via presto. Questa sera caput!
Questa è una frase chiave per ricostruire quella tragica domenica, indica infatti chiaramente come la strage, per qualche motivo, era già stata decisa, anche se, come vedremo, non tutti i Tedeschi saranno dello stesso parere sulla modalità per compierla.
A questo punto, tutti, anche i prigionieri catturati nel capoluogo e a Poggio Bottaro sono riuniti a quelli rimasti sulla piazza antistante la chiesa.
Verso le dieci, tra le urla dei Tedeschi, ormai presi dalla fretta di allontanarsi dal paese, ed i pianti e i lamenti dei catturati, la colonna si mette in marcia verso Ginestro o forse verso Cesio da cui era partita la squadra di Mayrling.
Salendo, passano anche dalla frazione Zerbini in cui vengono prelevate altre persone.
Tornando sui loro passi i Tedeschi si fermano davanti alla chiesa di Ginestro.
Qui, minacciano di fucilare tutti e probabilmente qui doveva avvenire l’esecuzione.
Nasce però una discussione tra gli stessi soldati Tedeschi che degenera in una lite (non sappiamo esattamente tra chi) ma alla fine l’esecuzione viene rimandata.
Questa discussione era probabilmente tra chi voleva liberarsi dei contadini e compiere subito il massacro e chi, non sentendosi ancora sicuro, voleva tenerli come scudo e garanzia contro eventuali attacchi.
La colonna dunque, riprende il cammino verso Cesio, ma al poggio di Costa Binella i prigionieri vengono fermati e fatti sedere.
Qualcosa succede e i Tedeschi prendono le loro decisioni.
Tre giovani di Ginestro, Franco Cotta, Augusto Zerbone e Rinaldo Zerbone vengono liberati e fatti allontanare.
Con loro anche quattro donne: Irma Zerbone, Clerinda Zerbone, Angiolina Cotta e Irene Bruno.

“… Non ci lasciavano parlare tra noi. Ci hanno fatto salire lungo la strada della frazione Ginestro. Lì hanno preso altre persone. Poi si sono rivolti a me dicendomi di andare a casa. Li ho scongiurati di lasciare andare anche mio fratello, ma non c’è stato niente da fare. Avrebbero ucciso anche me … Non appena mi sono allontanata ho sentito urla spaventose e poi gli spari. E’ stato terrificante.” - Irene Bruno

Altre quattro ragazze, Bruna Ferrari, Milena Pace, Rita Pace e Iolanda Zerbone vengono mandate al carcere di Imperia per essere interrogate.

“… ad Imperia ci hanno messo su un tavolasso in Prefettura e poi l’indomani ci hanno portato in Questura… ci hanno interrogato. C’era un interprete e mi ha detto: - Senti ragazza, nel tuo paese, nel tuo villaggio ci sono i Partigiani … dopo mi hanno interrogato; chi c’era, se conoscevo i partigiani, come si chiamavano … allora mi hanno dato tante di quelle botte. Hanno preso un bastone così e mi hanno caricato di botte e poi era tutto sangue … poi ci hanno portato nelle carceri a Oneglia … dopo dodici giorni e mezzo ci hanno lasciato uscire. Sono venuti e ci hanno detto: - Adesso siete libere e dovete ringraziare i Tedeschi che vi danno la libertà …” - Iolanda Zerbone

Gli altri vengono legati a due a due con il filo di ferro, schiena contro schiena.
Difficile comprendere il motivo di queste scelte, a meno che le indicazioni su chi interrogare, chi liberare e chi uccidere non venissero da quel “megu” che ormai ben conosceva uomini e cose di quel territorio.

“... gli hanno divisi. Li hanno legati mano mano così con il fil di ferro e le donne le hanno uccise di qua. Poi se ne sono andati lì c’è il passo del Ginestro, sotto c’è Cesio. … Poi i corpi … sono venuti quelli del paese con i carri e l’hanno messi tutti nell’oratorio. Poi, che non c’avevano la tomba, han fatto una fossa unica e li hanno messi tutti insieme. Poi ognuno se li ha presi più tardi.” - Costantino Danio

E così vengono uccisi tutti quelli rimasti a Costa Binella.
Gli uomini con raffiche di mitra da distanza ravvicinata sul lato destro del sentiero (oggi poco distante dalla provinciale).
Sul lato sinistro le donne vengono seviziate e poi uccise a colpi di baionetta.

“Mio padre fortunatamente si salvò. Insieme a lui il giorno dopo andammo a prendere quei poveri corpi martoriati. Erano legati a due a due con del fil di ferro. La maggior parte era irriconoscibile. Le due donne furono violentate e poi sventrate con i fucili.” - Vittorio Bruno

“Quando sono andato il giorno dopo sul posto ho potuto riconoscere mio padre solo dalle scarpe, lo avevano massacrato.” - Armando Zerbone

“Quel giorno fortunatamente ero a casa, ma nel pomeriggio con altre persone siamo andati sul posto dell’eccidio. E’ stato terrificante. Ventisette persone letteralmente massacrate con la più inaudita brutalità. Erano irriconoscibili.” - Leonardo Arduino

“E’ venuta mia sorella a Oneglia (al carcere) e io c’ho detto: - Come mai che non è venuto papà? - E lei mi ha detto: - Lo sai che siamo nei tempi così che se li prendono … tutte queste cose ... - E io me l’ho abbracciata mia sorella Irma e le ho detto, con le mani sul collo le ho detto: – No. Perché io quando siamo stati dalla parte di Cesio, io ho sentito sparare. Vuol dire che l’hanno uccisi.” - Iolanda Zerbone

Iolanda ha poi avuto la certezza della morte di suo padre il giorno in cui è stata liberata.

“I morti. Il primo che c’è andato è stato mio fratello Arduccio e Mimmo. Alla sera non arrivavano, non arrivavano, e allora son partiti andare un po’ a vedere. Sono andati su han vista sta’ strage. Tutti distesi. Sono girati indietro. Han fatto gente. Poi li hanno portati con i carri da buoi. Messi tutti nell’Oratorio, distesi sulla paglia e coperti.” - Marinin Aicardi

“Io al mattino non c’ero. Io c’ero al dopopranzo che sono andato là, in Costa Binella. Erano tutti lì uno sopra l’altro. In due posti erano. Prima del monumento e dopo. Di mio padre ho riconosciuto solo le scarpe.” - Leonardo Arduino

La strage è dunque compiuta e i Tedeschi tornano a Cesio mentre gli abitanti del paese rimangono alcune ore nell’incertezza e nella speranza finché Aldo Aicardi e qualche altro prendono coraggio e decidono di andare a cercare i compaesani.
Sono loro a fare la terribile scoperta.
Molti sono irriconoscibili e, quando arrivano altri dal paese, questi hanno difficoltà a riconoscere i loro cari.
E’, per alcuni, una altalena di speranza e dolore.
Arrivano i carri da buoi e i corpi vengono caricati e trasportati in paese.
Qui vengono sistemati nell’oratorio, distesi su della paglia e sommariamente coperti.
Una parte dei caduti verrà provvisoriamente interrata in una fossa comune.
Sono state trucidate ventinove persone in tutto.
Venticinque di Testico e delle sue frazioni, tre di Chiusanico frazione di Torria e una di Alassio.

L’analisi della dinamica dei fatti e le testimonianze dirette rendono chiaramente il quadro di un eccidio che non fu improvvisato e non fu una reazione ad un qualche avvenimento contingente, ma suggeriscono qualcosa di preordinato che forse, nella volontà dei Tedeschi, avrebbe dovuto svolgersi in una forma ancora più tragica e massiccia di come è avvenuto.
Sono forti gli indizi a sostegno di questa ipotesi:

  • il fatto che i Tedeschi muovono da due punti per convergere sul paese di Testico; quasi si trattasse di una azione di rastrellamento pianificata. Cosa che non ha i caratteri di una improvvisazione o, come sostennero altri di una ritirata;
  • il tedesco che si rivolge al contadino Giobatta Vario e lo lascia andare ma esprime chiaramente l’intenzione dei suoi capi di uccidere gli ostaggi;
  • la mancanza di motivi diversi per una operazione così capillare con ricerca casa per casa;
  • il fatto che i primi ostaggi vengono subito legati; cosa che non avrebbe avuto senso se si fosse trattato, come altre volte, di reclutare mano d’opera coatta;
  • il ruolo del   personaggio chiamato “u megu”, che potrebbe aver dato un contributo fondamentale a tutta l’operazione; infatti costui era stato fatto prigioniero dai partigiani e si era spacciato per medico per salvarsi la vita; dopo un certo tempo (mesi) fuggì e tornò dai suoi e qui i casi sono due: o era una spia con l’incarico fin da principio di raccogliere informazioni, o per rendere credibile il suo rientro dopo parecchio tempo trascorso con i partigiani ha fornito tutte le informazioni di cui era a conoscenza (in particolare di luoghi e persone) e, a mio parere, ha esagerato molto il ruolo dei contadini per dare più forza e credibilità alle  proprie parole;
  • il fatto che in Questura ad Imperia le ragazze vengono torturate per ottenere informazioni su partigiani, che Tedeschi erano forse convinti di trovare nell’area del paese supportati e nascosti dai contadini.

Tutto ciò conferisce all’azione il chiaro carattere di una rappresaglia in tutto tristemente simile alle centinaia di massacri di civili compiuti dai nazifascisti negli ultimi mesi di guerra.
La storia dell’eccidio è stata ricostruita facendo parlare alcuni testimoni diretti, altri che hanno partecipato all’evento e parenti e conoscenti delle vittime.
Questa forma ha il pregio di essere diretta e di rendere la tragica esperienza umana di quelle persone.
Anche la forma parlata è stata fedelmente riprodotta a danno della scorrevolezza ma a vantaggio della autenticità.
E’ chiaro che questa relazione dovrà in un secondo tempo essere “storicizzata” ed ulteriormente si dovrà lavorare su fonti e/o notizie che potrebbero essere reperite altrove o in tempi successivi.
Qui tuttavia sono stati già raccolti molti elementi, senza affidarsi ad un solo “racconto” ma cercando, dove possibile, di incrociare le testimonianze.
La difficoltà più grande è stata la raccolta di queste memorie ma ancor di più il tentativo, ancora migliorabile, di dare un ordine ed una sequenza alle cose che venivano fuori nel corso della ricerca.
Non tutte e non sempre queste si sono presentate chiare e coerenti nei particolari.
La voce, ad esempio, secondo cui un partigiano di Alassio, Mimmo Fioroni, (o altri, secondo le versioni,) avesse avvertito alcuni paesani della possibilità di rastrellamento di civili, risulta del tutto infondata per ammissione dello stesso Fioroni che, in quei giorni, si trovava isolato e non in grado di comunicare con nessuno.
Così come pare non sostenibile la tesi che la strage sia avvenuta in reazione all’attacco partigiano delle nove o che gli ostaggi siano stati presi dai Tedeschi come solo scudo per coprirsi la ritirata.
Questo perché l’operazione è scattata molto prima dell’attacco, per il ruolo del “megu”, per il fatto che, dalle nove in poi, i Tedeschi non furono più minacciati da alcuna azione della Resistenza.
A memoria posso citare la testimonianza orale di un partigiano imperiese, Stalin, raccolta nel 1976.
Questi sosteneva che gli attacchi al paese erano cessati proprio per non mettere in pericolo gli ostaggi.
Pur con questi limiti, tuttavia, pare che l’impianto generale e gli elementi fondamentali del fatto emergano chiaramente.

Tutte le testimonianze riportate sono ricavate da documenti audio-video realizzate tra il 1985 ed il 2005 e tuttora disponibili.
Altri tipi di fonti scritte sono quasi inesistenti. (due fotocopie di documenti: uno del 31/05/1945 in cui il, parroco di Ginestro comunica al Comando Operativo della 1° Zona l’elenco dei caduti della frazione; e una testimonianza sotto forma di resoconto scritto rinvenuta nella parrocchia di Testico, ma probabilmente proveniente da Chiusanico, come si può supporre dai nomi scritti in fondo al documento).
Per chiudere mi pare che la più chiara descrizione del senso tragico dell’evento sia riassunto nelle parole di Armando Zerbone:

“Quando sono andato il giorno dopo sul posto ho potuto riconoscere mio padre solo dalle scarpe, lo avevano massacrato.”
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GUERRA AI CIVILI - L'ECCIDIO DI TESTICO
Per gentile concessione Prof. Riccardo AICARDI
AIKARDI - L'ECCIDIO DI TESTICO
Per gentile concessione Prof. Riccardo AICARDI
Per gentile concessione Prof. Riccardo AICARDI
I CADUTI

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Nell'ottobre del 1945, venne eretto un monumento a ricordo della strage avvenuta.
L'11 giugno 2003, il Consiglio Comunale di Testico inoltrò richiesta al Presidente della Repubblica Italiana - Carlo Azeglio Ciampi, per il riconoscimento del Merito Civile, concesso l'8 novembre 2004.
In occasione del sessantesimo anniversario dell'eccidio, domenica 17 aprile 2005, il Prefetto Nicoletta Frediano consegnò la Medaglia d'Argento al Valore Civile al Comune di Testico, con la seguente motivazione:

Piccolo paese dell’entroterra ligure di appena duecento abitanti fu oggetto di un efferato episodio di guerra: ventisette suoi concittadini furono presi in ostaggio e barbaramente trucidati per rappresaglia da truppe naziste. Due donne presenti nel gruppo vennero prima violentate e poi sventrate con i moschetti d’ordinanza. Nobile esempio di spirito di sacrificio e di elette virtù civiche. 15 aprile 1945”.


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