RESTAURI EFFETTUATI
I RESTAURI EFFETTUATI ALLA CHIESA E ALLA TORRE DEL CASTELLO DI ANDORA
(Ovidia Siccardi - Mario Vassallo)
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Nel 1798 la Chiesa fu ricovero delle truppe napoleoniche, fino a quando il tetto ligneo originario artistico ed intarsiato non fu danneggiato da un incendio, lasciando di fatto l’edificio scoperchiato fino al 1835.
In tale anno, il benefattore G. B. Micheri provvide a fare ricostruire la copertura, rendendo nuovamente officiabile la Chiesa a partire dal 1836.
Secondo le testimonianze pervenuteci da Alfredo D’Andrade (Laigueglia 15 febbraio 1883), un acquerello da lui attribuito a F. Musso (ma presumibilmente opera del pittore laiguegliese Giuseppe Musso, 1806 – 1866), risulterebbe essere la più antica rappresentazione conosciuta del complesso monumentale costituito dalla Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo con l’adiacente Porta -Torre (già ex torre campanaria).
Nell’opera del Musso, con il soggetto monumentale visto dalla parte absidale della Chiesa, si rileva lo stato diruto della Torre nel suo piano più alto con la copertura totalmente assente, nonché la scala muraria “originaria” di accesso al primo piano della stessa con accesso all’apertura sul fronte a Levante.
A sinistra: particolare della sommità della Torre - A destra: la scala originaria.
Particolari riproduzione grafica di Alfredo D'Andrade (1883), realizzata da un acquerello attribuito a F. Musso - 1835
Galleria d'Arte Moderna - Torino - Copia Collezione Priva Marino Vezzaro
La Chiesa sembrerebbe in parte scoperchiata, almeno per la porzione di copertura della navata sinistra (quella più verso la Torre).
Sopra: si vede la navata laterale a sinistra con della vegetazione sulla copertura, che lascia pensare ad uno scoperchiamento del tetto.
Particolare riproduzione grafica di Alfredo D'Andrade (1883), realizzata da un acquerello attribuito a F. Musso - 1835
Galleria d'Arte Moderna - Torino - Copia Collezione Priva Marino Vezzaro
Tale scala di accesso al piano primo della Torre, sarà fatta rimuovere da un benefattore che i dati storico - documentali identificano in G. Maglione, per realizzare nel 1868 una struttura architettonica più complessa costituita da un corpo aggiuntivo in muratura di pietra, edificato in collegamento tra la porta laterale Nord della Chiesa e l’apertura sul fronte sud – primo piano della Torre (quest’ultima diveniva così a tutti gli effetti il campanile della adiacente Chiesa), creante una sorta di sacrestia, con accesso esterno tramite una scala scoperta con rampa ad arco, addossata alla parete a Levante della Torre.
Per alcune fonti si tratterebbe erroneamente del Marchese Giuseppe Maglione, probabilmente per associazione delle iniziali e rango famigliare, ma ciò appare piuttosto improbabile, poiché il Marchese Giuseppe nel 1868 avrebbe avuto soli 10 anni; consultando i registri dell’epoca, in quel periodo un solo andorese Maglione aveva il nome che iniziava per “G”, Giovanni Maglione, che però era di umile famiglia e con poche proprietà terriere e, pertanto, sarebbe altrettanto improbabile che potesse sostenere la spesa necessaria alla realizzazione delle modifiche attuate al complesso monumentale.
Foto sopra a sinistra: anno 1910 - Foto sopra a destra: anno 1925
1927
Nelle quattro foto precedenti, le vedute più antiche del corpo di fabbrica ottocentesco realizzato per unire la Chiesa alla Torre, creando una sorta di sagrestia.
L’acquerello del Musso, ripreso dal D’Andrade, mostra anche due particolari unici, perché presenti solo in tale rappresentazione grafica e successivamente mai più presenti:
1) tra la Chiesa e la Torre, sullo sfondo si può osservare, solo accennata, la presenza di un corpo di fabbrica che sembra unire i due edifici, comparendo un’apertura ogivale al piano strada ed una finestra arcata al piano superiore.
Di tale porzione di fabbrica non rimane alcuna veduta successiva, ma restano le testimonianze accennate da Marco Maglioni in uno dei suoi scritti, dove indica la presenza di un corpo addossato alla Torre, probabile luogo di avvistamento aggiuntivo sulla cinta muraria (una sorta di posto di guardia), munito di un pozzo, non definendo se interno o nelle immediate vicinanze (è risaputa la presenza di un pozzo intorno alla Torre).
Sulla stessa Torre, sono attualmente rinvenibili tre particolari che riconducono a tale porzione di edificio scomparso:
- l’attacco laterale dell’arco ogivale sul fianco della Torre stessa;
- la ripresa di muratura verticale corrispondente alla spallina sottostante la partenza dell’arco, ormai inglobata in un riempimento murario di più riprese realizzative successive;
- i resti della falda inclinata di copertura in lastre di ardesia, infisse in aderenza alla parete verso la vallata della Torre medesima.
2) In adiacenza all’abside della navata laterale a sinistra, compaiono i resti di un fabbricato in aderenza alla Chiesa, il quale risulterebbe esistente solo sulle rappresentazioni delle mappe cartografiche del Catasto Francese (Mappe Napoleoniche).
Particolari riproduzione grafica di Alfredo D'Andrade (1883), realizzata da un acquerello attribuito a F. Musso - 1835
Galleria d'Arte Moderna - Torino - Copia Collezione Priva Marino Vezzaro
Sopra a sinistra: l’attacco laterale dell’arco ogivale sul fianco della Torre ed i resti della falda inclinata di copertura in aderenza alla parete verso la vallata della Torre.
Sopra a destra: la ripresa di muratura verticale corrispondente alla spallina sottostante la partenza dell’arco.
Resti del pozzo nelle vicinanze della Torre.
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Nel 1879, il Sindaco del Comune di Andora, Marchese Marco Maglioni, che tanto tiene ad Andora, ed alla storia e patrimonio andoresi, comincia una vera e propria crociata per “salvare” quello che resta dell’antico splendore della Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo, sfogando tutto il proprio ardore in una seduta di Consiglio Comunale.
SEDUTA DEL CONSIGLIO COMUNALE - 14 NOVEMBRE 1879
Sono presenti il Sindaco Marchese Marco Maglioni, Anfosso Carlo e Tagliaferro Gio Battista (Assessori effettivi) ed il Segretario Comunale Siccardi Giovanni Battista.
“Esporre che fra i monumenti di antichità onde la Liguria va altera, uno fra i bellissimi per venustà di stile, per ricchezza di contorno, per mirabile conservazione nonostante la barbara imprevidenza del luogo, è la Chiesa Gotica di Castel d’Andora.
Ricordo la bellissima relazione letta alla lezione di Archeologia della Società Ligure di Storia Patria dal Sig. Tomaso Luxoro, il quale termina con i voti suoi ardenti per la conservazione dei preziosi avanzi.
Egli, cui furono ripetutamente sporte lagnanze dagli Egregi Membri della Fabbriceria di c.a Chiesa i quali benignamente si interessavano all’opera memorabile ed ai ricordi patri che destava, pregolli a voler raccogliere dati e versare un memoriale che valesse ad interessare gli Onorevoli Membri della Commissione Archeologica in favore del Monumento.
Nel trascrivere il loro ricorso, egli rende sentite grazie alla loro compiacenza
Eccellenza
I sottoscritti componenti il Consiglio di Fabbrica della Chiesa dei SS, Giacomo e Filippo nella Regione di Castello, Regione del Comune di Andora hanno l’onore di esporre alla benigna considerazione dell’I. V. quanto segue:
Il Comune di Andora, terra antichissima fra quelle della Liguria ha l’insigne vanto di possedere nel suo territorio monumenti antichissimi che rendono testimonianza di quel che fu nei remoti tempi e di quello che per volgere i secoli questo luogo miseramente divenne.
L’ Andora, propriamente detta, cioè il paese chiamato Andora, che diede forma il nome a tutta la valle era situato in quella collina che forma ora una borgata dell’attuale Comune e ove sorse in seguito il Castello feudale per cui le venne la denominazione speciale di Castello o Castel d’Andora.
Su di esso esistono ancora i mal conservati avanzi di una fontana in pietre riquadrate e nella sottostante pianura l’antichissimo ponte sul Merula, fiumana della valle, attribuiti generalmente all’epoca Romana; e assai più certamente se ne conterebbero se l’ignoranza e il vandalismo di tempi posteriori non l’avesse barbaramente distrutti come ne fanno certissima fede le pietre numerosissime lavorate sparse nel Borgo, senza far calcolo di quelle innumerevoli delle quali si valsero coloro che vi edificarono nel presente secolo case destinate ad abitazione.
Nel Medio Evo fù il territorio del Comune feudo del Marchesi di Clavesana che ivi avanti il X Secolo fabbricarono il loro Castello del quale ancora al dì d’oggi esistono le mura di circuito, alcuni muri di archi interni e molti ruderi di case circostanti che sembra fossero dipendenze del Castello e sembrano della medesima epoca.
Ma ciò che attira maggiormente l’attenzione del visitatore del luogo si è la bellissima Chiesa gotica edificata dai Clavesana, dedicata ai SS. Giacomo e Filippo che esiste ancora al dì d’oggi e che può considerarsi come un vero monumento di arte, quantunque abbi dovuto lungamente resistere alle ingiurie degli uomini e del tempo, e la superba attigua Torre che le da accesso.
Che anzi è da fare altissima meraviglia al pensare come sia più ancora in piedi ad onta delle crudeli vicissitudini che ebbe ad attraversare.
Ed infatti, senza fare parola delle continue guerre di fazioni che devastarono in quei tempi queste contrade, esse ebbero ogni più a patire per le orribili pestilenze che le travagliarono e più per quella tipicamente famosa del 1348 che desolò quasi tutta l’Italia, e di cui parlano il Boccaccio, Matteo Villani ed altri scrittori di cronache di allora, cosichè questo sventurato paese ebbe a subire dai due tremendi flagelli il più luttuoso effetto, cioè il totale spopolamento del paese.
Ma ciò forse non sarebbe bastato a produrre le tristi conseguenze che si ebbero se un terzo disastro non meno fatale non si fosse unito ai due primi.
I coltivatori dei terreni distolti dalle gravi cure della guerra e della peste, non potendo occuparsi del mantenimento delle campagne e dei lavori di difesa del fiume, questi in molti luoghi ristagnò ed in altri entrato con la forza della piena nelle terre vi formò seni e paludi che produssero pericolosi miasmi, velenose esalazioni e d epidemie le quali ingenerarono la cosidetta malaria che tanto affligeva anticamente la vicina Albenga e afflige ancora al dì d’oggi la Sardegna, la Maremma e l’Agro Romano.
Da ciò devisi una grande mortalità accompagnata da un terror panico facile a concepirsi, la quale porgasi nella valle fece si che un grandissimo numero di persone fuggirono e quelle che rimasero furono come condannate ad un lento martirio.
L’igiene pubblica che allora non si conosceva, non potè arrecare rimedio a cotesto stato di cose per cui la vallata venne quasi distrutta.
Ma col volgere degli anni, migliorata l’igienica situazione, cominciarono alcune persone ad abitare questa regione e più specialmente il Borgo di Castello, attirate dall’amenità del sito e dalla vaghezza dell’aprico colle e dalla feracità del terreno, in ispecie per la coltura della vigna.
Popolato gradualmente il Borgo esso fù però sempre lontano dal raggiungere l’antica floridezza.
Dopo ciò è facile immaginare quanto quell’egregio Tempio ebbe a soffrire in così dolorosi travolgimenti.
Rimasto per lunghi anni deserto e negletto, deperì grandemente.
Ma peggior parte lo attendeva, poiché nello scorcio del passato secolo, per la tristezza dei tempi e la noncuranza dei più, per la turpe cupidigia di alcuni e la rea tolleranza di chi allora reggeva nel Comune la somma delle case, ebbe esso a patire pressochè l’estremo sterminio.
Scoperchiatolo, ne furono tolte le ardesie del tetto e la bellissima volta in legno, che era ancora quella dei Clavesana, per servirsene ad uso privato; furono spezzate le colonnine che ne adornavano la porta, ne furono guasti gli altari, tolto il pavimento, rapite le porte e le finestre e divenne l’angusto tempio un chiuso pel bestiame, coperto ed ingombro di roveti e di sterpi, in mezzo ai quali ad accrescimento della scena ferale era una aperta sepoltura mezzo dirupata.
E stette lungamente in questo stato miserando, fino a che circa un mezzo secolo fà alcuni pietosi del Comune, commossi a così orrendo strazio, deliberarono di ristorarlo.
E colle proprie forze e col soccorso d’elemosine raccolte nel proprio Comune e in quei vicini e coll’aiuto d’altri benefattori e di persone che vi lavorarono o che vi somministrarono i materiali, lo ridussero non nell’antico splendore, in stato di poter essere, come fù, ritornato al culto, in attesa che si presentassero i mezzi e l’occasione di poterlo ristorare completamente.
Ma quelle riparazioni fatte in allora, avariate dal tempo, sono al dì d’oggi quasi inservibili e le screpolature del tetto e l’umidità della parete dal lato della collina rendono urgentissima una riparazione che potrebbe essere questa volta, con tempi maggiormente propizi, degna del monumento e veramente grandiosa.
A ciò non può, nemmeno in minima parte provvedere l’amministrazione della Chiesa, poverissima, e totalmente sprovvista dei mezzi, di rendita che ne rendano possibile l’esecuzione.
In tale stato di cose il Consiglio di Fabbrica compreso del dovere che gli incombe, mosso dal desiderio della conservazione annuale di codesto artistico Tempio, e conscio del grande amore che V. E. porta all’arte e a tutto ciò che da essa prende luce ed amore, ricorre alla E. V. implorando sia destinata a così importante lavoro una somma da prelevarsi sui fondi stanziati per la conservazione dei monumenti d’arte, nel bilancio del Ministero di istruzione, memore che la Chiesa dei SS. Giacomo e Filippo in Andora fù dalla Commissione Archeologica Genovese, inscritto nell’elenco apposito, come uno dei maggiori monumenti d’arte della Liguria; della quale Commissione unisco al presente ricorso un parere conforme, unitamente ad un voto emesso al riguardo dal Consiglio del Comune, entrambi dalle rispettive Presidenze gentilmente rilasciati, nella fiducia che l’ E. V. voglia con favorevole decisione ripristinare la storica grandezza di questo prezioso monumento.
Andora. 14. Novembre 1879
I componenti del Consiglio di Fabbrica
(Seguono le firme)
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La Giunta Municipale
Sentendo l’esposto;
altamente compresa del dovere che Le spetta in appoggiare si patriottico reclamo;
… cui l’ammirazione dei forestieri fece deplorare ognora la noncuranza assurda, il lento deterioramento, i nuovi affreschi stessi che costituiscono una profanazione del bello;
All’unanimità
Si associano al ricorso presentato e deliberano inviano copia del presente verbale all’Autorità Amministrativa supplicandola a voler coll’usata benemerenza, con nobile interessamento, raccomandare alla Commissione Archeologica i voti di un paese e di quanti hanno a cuore le gloriose vestigie di una grandezza alla quale si informano le speranze dell’avvenire.
E quanti hanno a cuore e mente benediranno le provvide misure che i Sig.ri Membri della Commissione Archeologica sapranno dal Governo promuovere”.
Letto il presente verbale venne approvato dagli Assessori.
IL SINDACO
MMaglioni
L’ASSESSORE ANZIANO IL SEGRETARIO
G.B. Tagliaferro Siccardi G.B.
C. Anfosso
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Con la sopra citata seduta di Consiglio Comunale del 14 novembre 1879, l’Amministrazione del Comune di Andora guidata dal Sindaco Marco Maglioni avvia una richiesta formale di intervento e di fondi alle più alte autorità, al fine di affrontare il recupero della Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo.
Sarà un percorso tortuoso e “tempestoso”, perché inizialmente si svolgerà il classico rimpallo di competenze e di disponibilità economiche, con il conseguente stallo per tutto il periodo di carica quale Sindaco di Marco Maglioni, il quale prova in modo sempre molto accorato a sollecitare e tentare una sensibilizzazione contributiva economica, ma inizialmente senza riscontri tangibili.
Dal 1884, succede, nella carica di Sindaco del Comune di Andora, Anfosso Carlo (quale Assessore Anziano reggente nel 1884) e poi Musso Giuseppe Augusto (nei suoi cinque anni di amministrazione comunale).
I questi anni la questione Chiesa di Castello rimane abbandonata a sè stessa.
Nel 1890 torna Sindaco di Andora Marco Maglioni e nei primi anni del nuovo ciclo di amministrazione (che durerà fino al 1896) deve occuparsi di impegnativi interventi pubblici di riassetto del territorio e riprendere e riorganizzare gli Uffici Comunali, dopo anni in cui non è stato continuato ciò che aveva iniziato e portato avanti nel primo periodo da Sindaco (dal 1878 al 1883/84).
Nel 1896, Marco Maglioni torna alla carica per la questione Chiesa di Castello e, dopo l’accorato appello come da Consiglio Comunale del 14 novembre 1879, "catapulta" alla Sotto Prefettura del Circondario di Albenga una lettera decisa ed accesa nei toni, tanto che il Sottoprefetto lo ammonirà una prima volta per l’irruenza della presentazione delle motivazioni e ne seguirà una seconda circa quattro anni dopo “…. le dichiarazioni del Consigliere Maglioni potevano riportarsi in una forma più temperata e corretta …..”.
L’effetto delle pressioni decise di Marco Maglioni porta a smuovere l’indifferenza che aveva bloccato l’ottenimento delle risorse economiche per recuperare la Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo e in tutto questo tempo la parte ecclesiastica (non solo strettamente locale) era rimasta estranea alla situazione, lasciando lo scontro amministrativo alle autorità “civili” e “governative”, prime fra tutte il Comune e la Prefettura.
Intanto, nel 1891, il Governo aveva istituito gli uffici regionali per la conservazione dei monumenti e la direzione per il Piemonte e la Liguria venne affidata ad Alfredo D’Andrade.
L’opera di sensibilizzazione di Marco Maglioni, sebbene due suoi successori Sindaci di Andora, Siffredi Emanuele e Trevia Giacomo, non concorrano a sostenere nello stesso modo l’iniziativa per “salvare” la Chiesa di Castello, giunge al D’Andrade, il quale visita Andora e soprattutto il Castello, grazie anche ad amici “di salotto” comuni con Marco.
Proprio Alfredo D’Andrade, quale Direttore dell’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria, diventa il cardine dell’operatività e dell’interessamento in ambito governativo per accedere a fondi e risorse ed affrontare l’intervento di recupero della Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo.
Alfredo D’Andrade visiterà più volte il Castello di Andora, ne eseguirà disegni dettagliati, giunti a noi come preziosissima testimonianza, quasi una “documentazione fotografica” della fine Ottocento, che fissa indissolubilmente i particolari dimensionali ed architettonici di tutta la parte monumentale medievale andorese del Castello.
In prima persona, come Direttore del proprio Ufficio, provvederà con pazienza e risolutezza a sollecitare gli statici e poco partecipi Sindaci in carica a provvedere ad ottemperare alle richieste necessarie e ad “agire” per il monumento andorese: opererà una serie di pressanti solleciti, sino ad ottenere la partecipazione più o meno attiva dell’assente amministrazione comunale andorese, arrivando a pregare una maggior attenzione al bene territoriale locale (!!).
Una storia che giunge ad un lieto compimento, perché dopo tante pressioni e vicissitudini amministrative e finanziarie, finalmente la Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo riceve le cure tanto desiderate e necessarie a cominciare dal 1903, ben dopo 24 anni dal primo atto di richiesta formale effettuata dall’Amministrazione Comunale Andorese sotto la guida e con la spinta determinata del Marchese Marco Maglioni, Sindaco di Andora per 15 anni in tre periodi diversi (nell’arco di 33 anni).
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In una cartolina datata 17 gennaio 1902, che ritrae il complesso monumentale dal piazzale antistante l’ingresso alla Chiesa, della quale si notano i più antichi serramenti conosciuti, presenti sulle tre finestrature della facciata principale, ed il portale presenta ancora tutte le colonne laterali, mentre la Torre appare completamente restaurata, sebbene con riprese murature di tessitura grossolana e totalmente di consistenza diversa alle porzioni medievali originarie.
Cartolina datata 17 gennaio 1902
Particolari della facciata principale della Chiesa - 1902
Il 12 gennaio 1903, come testimoniato da una relazione esistente presso la Soprintendenza ai Monumenti per la Liguria, redatta dall’Ing. De Marchi, furono avviati i lavori di rifacimento del tetto di copertura della Chiesa.
Fu demolita la volta della navata destra, trovando nel muro perimetrale la radice del tetto preesistente ed il rifacimento della copertura in legno eliminò per sempre i soffitti voltati, lasciando la “nuova” copertura lignea a vista.
Vennero anche scrostati gli intonaci eseguiti in tempi posteriori e collocati in opera i fusti ed i capitelli mancanti alle colonnine del protiro.
Non si provvide alla sistemazione della grande apertura della facciata principale (che già manifestava difficoltà statiche) e della conservazione o meno del corpo ottocentesco di collegamento con la Torre.
La Chiesa e particolare del protiro - 1908
Particolari della facciata della Chiesa - 1910
In una foto del 1925, che riprende l’interno della Chiesa, dalla navata centrale verso il presbiterio, l’interno della stessa appare completamente arredato alle funzioni, sono presenti un quadro ligneo della Crocefissione, il Cristo Crocifisso ligneo a grandezza naturale del 1301 (restaurato nel 1837 ed attualmente “depositato” in abbandono all’interno dell’Oratorio dei Santi Nicolau e Sebastiano).
Nella zona absidale della navata centrale è presente un altare in muratura, sopraelevato da tre gradini rispetto al piano rialzato del presbiterio, un baldacchino sospeso ed un pulpito laterale addossato alla navata sinistra.
In tale periodo, nelle zone absidali delle sue navate laterali si trovavano due altari dedicati uno alla Madonna del Rosario (dichiarata Capellania nel 1614) e l’altro ai Santi Cosimo e Damiano (dichiarata Capellania nel 1590).
La statua lignea della Madonna del Rosario (chiamata anche “Madonna nera” e citata come “Madonna de Nigris”, perché di colore scuro, ma forse in quanto riferita ad una famiglia benefattrice De Negri), fu in seguito per decenni conservata all’interno dell’Oratorio dei Santi Nicolau e Sebastiano.
Foto anno 1925
Foto anno 1925
Foto anno 1925
Tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ‘30, alcuni dei vetri delle aperture sulla facciata principale dell’edificio si presentano già lesionati, così come le listellature ed i telai dei serramenti stessi.
Tale situazione andrà peggiorando negli anni successivi, come si può notare da foto del periodo.
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Negli anni ’30 si rende necessario un intervento di rifacimento del tetto di copertura della Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo e per tale intervento viene incaricato della progettazione e gestione lo Studio Artistico Cesare Paleni di Bergamo, il quale individuerà i soggetti esecutori delle opere:
- la ditta Soc. A. Attilio Bagnara di Genova, per la fornitura di legname;
- Boragno Ambrogio & Plutino Antonio di Andora, per le opere di posa;
a cui si aggiungeranno:
- la ditta Porcella De-Gray, per la fornitura delle ardesie;
- la ditta Ortelli di Genova, per la fornitura di pietre e marmi.
Progetto per il rifacimento del tetto della Chiesa
Per gentile concessione Comune di Andora
La situazione contabile e finanziaria si ingarbuglia subito, in quanto l’intervento è molto costoso, partendo da una somma ipoteticamente preventivata di L. 15.000, che diventerà indicativamente L. 25.000 considerando l’aggiunta del successivo consolidamento della facciata principale dell’edificio (eseguito a partire dal 1935).
Con grande fatica si riescono a trovare inizialmente finanziamenti per L. 12.500 (oltre ulteriori L. 3000 quale finanziamento “promesso” dal Ministero dell’Educazione Nazionale) e la gestione da parte della ditta Paleni si rivelerà incresciosamente priva della dovuta competenza ed attuata in modo del tutto disastrosamente inadeguato, portando ad un lungo contenzioso per mancati pagamenti di parte delle forniture e delle maestranze impiegate, che si concluderà solo con il pagamento finale nel 1941 dell’ultimo creditore.
Dopo avere realizzato il restauro della copertura del fabbricato, si affronta anche il consolidamento della facciata frontale, mediante la ricomposizione del finestrone nel timpano, con la trasformazione dell’originaria vetrata in una pentafora.
Progetto per la sistemazione della facciata della Chiesa
Per gentile concessione Comune di Andora
Inizialmente si usufruisce per l’intero intervento di un contributo governativo di L. 3000 concesso dal Ministero della Giustizia nel 1932 e confermato dal Ministero dell’Interno del 1934 (in quanto nel periodo le competenze degli Affari di Culto vengono trasferiti di Ministero), che viene concordato tra Soprintendenza e Comune di Andora in pagamento della Ditta Bagnara per la fornitura dei legnami e la cui liquidazione dipende dalla verifica della corretta esecuzione mediante collaudo da parte della Soprintendenza.
Tra i finanziatori partecipa la Soprintendenza stessa, la quale concorrerà attivamente finanziando con propri mezzi la ragguardevole somma di L. 9544.
La gestione sprovveduta da parte della ditta Paleni, porta al raggiungimento di una somma complessiva dei costi dell’intervento eseguito in L. 20.097, a fronte del quale si apre un contenzioso da parte dei creditori, i quali minacciano di intraprendere procedimenti legali.
A questo punto, in mezzo alle contestazioni, si attuano vari tentativi di mediazione e richieste di fondi straordinari al Ministero, arrivando al 1936.
Il Comune di Andora, nella persona del Commissario Prefettizio Giuseppe Vatterone, si adopera per sensibilizzare un possibile intervento comunale, considerando la possibilità di destinare un eventuale contributo secondo le disponibilità finanziarie amministrative, al fine di perseguire l’appianamento degli insoluti con i creditori; a tale fine Vatterone prende un preciso impegno a nome del Comune di Andora per lo stanziamento di un contributo straordinario di L. 1000, adoperandosi per integrare tale somma, tramite concessioni ed interessamento dei funzionari del Partito Nazionale Fascista.
Giuseppe Vatterone
E per questo in data 18 ottobre 1936 ricevette un accorato e riconoscente ringraziamento dal parroco Don Raffaele Biehler per avere permesso di ottenere un prezioso contributo di L. 1500:
Comune di Andora – Protocollo n. 3395 del 18 novembre 1936
“Eccellenza Ill.ma
Mi permetta di venire a ringraziare di cuore la V. S. I. per il sussidio di £ 1500 concesso in favore dei lavori eseguiti per la restaurazione del monumento nazionale Chiesa S.S. Giacomo e Filippo sito in Andora-Castello.
Pregandola di gradire questa espressione della mia riconoscenza unita a quella delle autorità e della popolazione, mi dico di V. Eccellenza Ill.ma
D.mo ed Obblig.mo
Andora 12. X-1936.XIV.
Raffaele Biehler
Parroco”
Il Beneficio Parrocchiale di San Giovanni Battista, da cui dipende l’ex Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo, nella persona del parroco Don Raffaele Biehler, tenta una iniziale supplica al Ministero affinchè generosamente possa intervenire con una maggiorazione del contributo già messo a disposizione, ricevendo diniego in merito.
La Soprintendenza certifica l’avvenuta esecuzione a regola d’arte dell’intervento eseguito e si pone da tramite con il Ministero per intercedere al riconoscimento del valore delle opere effettuate e conseguentemente alla ricerca di ottenimento, da parte del Ministero dell’Educazione Nazionale, di una maggiorazione di contributo, riuscendo a ricevere L. 5000, invece delle originarie L. 3000 promesse e stanziate.
Quindi, si raggiunge una somma disponibile complessiva di L. 17.544, di cui L. 9544 già pagate ai vari soggetti esecutori delle opere e fornitori dei materiali utilizzati (Bagnara, Porcella, Ortelli, Plutino, Boragno), che comunque vantano ancora crediti per L. 10.553.
Poiché il contributo governativo di L. 5000 (non sufficiente a coprire le somme ancora da pagare) è stato messo a disposizione con gestione affidata alla Soprintendenza, che si era fatta promotrice presso il Ministero per l’ottenimento, la Soprintendenza stessa, al fine di mediare e risolvere definitivamente l’annosa contestazione protrattasi per lungo tempo, concorda e “impone” ad ogni creditore uno sconto pari al 25% della rispettiva somma ancora spettante.
Così facendo le L. 5000 vengono ripartite tra i cinque creditori, al netto dello sconto attuato (imposto!), mentre il contributo di L. 3000 inizialmente messo a disposizione dal Ministero della Giustizia e poi dell’Interno, già versato al Comune di Andora, viene destinato interamente alla ditta Bagnara, intendendo chiudere definitivamente ogni pretesa economica da parte di tutti i creditori.
Tuttavia, la ditta Bagnara non accetta lo sconto imposto ed avanza ancora decise pretese di pagamento, attraverso il proprio rappresentate legale – Avv. Revello, minacciando in modo sempre più convito azioni legali se non otterrà la liquidazione della somma ancora vantata di L. 1388,80.
Il Commissario Prefettizio Raffaele Morro prende in mano la situazione e, come aveva già “promesso” nel 1936 il Commissario Prefettizio Giuseppe Vatterone, affronta la vicenda con l’Amministrazione Comunale Andorese, deliberando lo stanziamento di una concessione di contributo straordinario di L. 1000 da destinarsi alla liquidazione delle maggiorazioni richieste dalla ditta Bagnara di Genova, in mediazione al fatto che la stessa rinunci agli interessi maturati sui crediti lamentati, dipendenti dal periodo trascorso dalla fornitura effettuata già parecchi anni in precedenza e cioè dall’inizio dell’intero intervento realizzato (Delibera n° 79 del 15 novembre 1940), con pagamento da effettuarsi, “previa superiore approvazione entro il 31 marzo 1941”.
Nelle foto sopra alcuni parrocchiani andoresi si occupano dei lavori di restauro effettuati su copertura e facciata della Chiesa a partire dal 1932.
Si tratta di Bianco, Boragno, Marengo, Ghigino, Guerra e Plutino, i quali fanno parte delle maestranze appaltatrici di parte delle opere effettuate.
Secondo le testimonianze raccolte e tramandate, oltre alle risultanze "ufficiali" emergenti dalla documentazione reperita presso l'Archivio Storico Comunale, le ditte andoresi intervenute nell'intervento effettuato, anch'esse coinvolte dalle difficoltà di liquidazione spettanti e come in precedenza descritto, a differenza delle imprese non del luogo, sarebbero in qualche modo state "aiutate" economicamente dalle autorità comunali:
il Podestà dell'epoca, Tullio Musso, avrebbe stipulato un contratto insolito, secondo cui il Comune avrebbe coperto le spese sostenute per i materiali, mentre le ditte andoresi avrebbero sostenuto la manodopera senza pagamento, potendo portare l'equivalente in detrazione sulle tassazioni degli anni successivi.
Il consistente intervento di restauro realizzato, comporta la sostituzione dei serramenti sulla facciata principale della Chiesa (come si nota da una foto del 1949) e l’eliminazione del corpo di collegamento tra la Chiesa e la Torre perchè ritenuto un elemento estraneo all'impianto originario.
Per quanto riguarda invece il corpo di collegamento torre-chiesa, la sua demolizione dovuta al desiderio di eliminare un corpo estraneo, inserito in tempi abbastanza recenti, ha distrutto un elemento funzionale che, dopo l’eliminazione precedente della scala originale di accesso (documentata nell’acquarello del Musso), permetteva di accedere alla Torre senza ricorrere all’uso di mezzi di fortuna.
In questi particolari fotografici dei primi anni '60, si nota il segno della demolizione del corpo sacrestia - scala esterna preesistente tra Chiesa e Torre
Il nuovo aspetto monumentale al termine del restauro effettuato
La pentafora sul fronte principale, ha costituito spesso motivo di contestazione di carattere stilistico, nonché di metodologia adottata nella conduzione del restauro, accusando che fosse stato eseguito con concessione all’invenzione, nonostante la giustificata presenza dalle impronte delle basi delle colonnine originarie, riscontrate sul piano di imposta.
1949
In una foto del 1939, che riprende la veduta interna della Chiesa, è scomparso il baldacchino sospeso al fondo della navata principale e sono comparse le lanterne a bastone utilizzate nelle processioni.
1939
Negli anni successivi, dopo la Seconda Guerra Mondiale, quello che era stato l’originario altare murario, fu rimosso unitamente ai tre gradoni che lo rialzavano dal sopralzo della zona presbiteriale, e sostituito con uno artigianale grezzo in legno realizzato direttamente dagli abitanti del borgo.
Nello stesso periodo viene anche eliminato il pulpito addossato alla navata sinistra.
Veduta del presbiterio con le modifiche apportate all'altare
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Nei primi mesi del 1951, Don Raffaele Biehler segnala alla Soprintendenza la rottura di alcune lastre d’ardesia della copertura della Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo, evidenziando che tali lesioni potrebbero arrecare danni, permettendo alla pioggia di penetrare all’interno dell’edificio.
La Soprintendenza risponde che si tratta in intervento escluso dalla propria responsabilità di intervento, ricadendo sulla responsabilità dei soggetti proprietari, ma ricordando la propria competenza in merito alla sorveglianza in caso di esecuzione di eventuali lavori.
A causa delle piogge autunnali del 1951, si verificarono alcuni crolli di murature presso il Castello, e soprattutto di parte della volta del porticato di accesso alla borgata, provvisoriamente ricostruite a secco dal proprietario.
A novembre dello stesso anno il Comune effettuò una comunicazione urgentissima alla Soprintendenza, illustrando i fatti accaduti e la situazione riscontrata.
Ad aprile 1952, l’Ufficio del Genio Civile di Savona, appositamente messo a conoscenza, confermando la necessità di consolidamento per la possibilità di ulteriori crolli, si dichiarò estraneo ad intervenire, effettuando segnalazione alla Soprintendenza ai Monumenti della Liguria ed invitando il Comune di Andora ad agire nei confronti delle proprietà private interessate, ingiungendo che provvedessero ai dovuti interventi di consolidamento.
Ne seguì l’ingiunzione da parte del Comune nei confronti della proprietà Nano, notificata al diretto interessato a fine agosto 1953.
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Nel 1964, grazie ad un contributo concesso dal Ministero dell’Interno al Comune di Andora, è stato compiuto un intervento di restauro che ha interessato vari monumenti del Castello.
Dapprima le attenzioni sono state dedicate alla Torre, mirando agli interventi di consolidamento e ricostruzione effettuati in epoca precedente ed a ciò che gli stessi avevano interessato: l’apertura di due grandi finestroni ad arco tondo nel fronte principale, una monofora minore (più tardi chiusa) sugli altri lati; una merlatura ghibellina, con bassa cuspide al centro.
Questa parte dell’edificio, realizzata con una ricostruzione in fase tarda, minacciava un crollo e, pertanto, è stata ripresa senza affrontare modifiche, consolidando tutto l’angolo di levante.
Attenzione è stata dedicata anche alla pulizia del monumento, permettendo di mettere in evidenza la “porta d’entrata al Castello” a doppio arco sottostante, consolidando l’affresco quattrocentesco de “La Vergine col Bambino) e di aprire l’arco laterale a tutto sesto che dava luce o accesso all’ambiente, verso il piazzale della adiacente Chiesa.
La Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo è stata interessata dal rifacimento del tetto in ardesia ed alla pulizia dell’interno, per una ormai regolare apertura per visita al pubblico.
Alla Cappella di San Nicolò è stato sterrato e ripulito tutto il fianco laterale, dopo averne rifatto il tetto in ardesia, quasi totalmente mancante.
L'arco riaperto nella Torre, il quale serviva da accesso al corpo di guardia ormai scomparso
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Nel 2002 vengono sostituiti i serramenti delle aperture sulla facciata principale della Chiesa, con l’installazione di vetrate decorate con immagini sacre: sulla vetrata della monofora compare la Vergine con il Bambino, mentre sulle due vetrate della bifora compaiono i Santi Giacomo e Filippo.
Anno 2001
Anno 2002
Anno 2005
Anno 2005
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Il 14 febbraio 2012, la Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo si presenta deturpata da graffiti che, presuntivamente nella notte precedente, hanno imbrattando la parte sinistra in basso della facciata frontale e l'antico portone in legno.
Conseguentemente allo sdegno per il grave gesto, verrà sollecitamente realizzato un intervento di pulizia e recupero, il quale andrà ad eliminarli pressochè totalmente.
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